Su Netflix il capolavoro che ha riscritto le regole del cinema: imperdibile
Arriva finalmente su Netflix una delle pietre miliari della storia del cinema, capace di segnare un “prima” e un “dopo”.

Anche nella storia del cinema si verificano quelli che l’epistemologo Thomas Kuhn chiama “cambiamenti di paradigma”. Momenti di svolta, rivoluzioni copernicane che portano a vedere il mondo con occhi diversi. A un certo momento qualcosa cambia: una luce illumina sentieri inesplorati, sorgono nuove domande e, insieme a loro, anche nuove paure.
I cambiamenti di paradigma, di regola, sono anche momenti di crisi dove c’è un prima e c’è un dopo. Non per nulla “crisi” viene dal greco krisis, che significa tanto giudizio quanto scelta. Le crisi mettono sempre davanti a una scelta, fanno emergere la vera “lega” degli esseri umani chiamati a giudicare prima per scegliere poi (rigorosamente in quest’ordine, perché le scelte senza giudizio, si sa, sono ricette buone solo per produrre disastri).
Su Netflix approda proprio uno dei capolavori che hanno riscritto le regole del cinema, una pietra miliare che ha segnato un’intera generazione.
Netflix, finalmente disponibile il capolavoro che ha segnato la storia del cinema
Quando The Truman Show uscì nel 1998 fu subito chiaro che non si trattava semplicemente di un film come tanti altri. Fu una sorta di risveglio collettivo. Potremmo dire che la lotta di Truman Burbank per uscire da un universo fittizio che pare uscito dalla fervida penna di Philip K. Dick segna il passaggio (definitivo?) alla società della “profilicità”, per dirla con la terminologia di Hans-Georg Moeller e Paul D’Ambrosio.
Nel mondo di Truman l’identità personale non è più data dal ruolo sociale (secondo il modello della “sincerità”) o dalla propria incomprimibile individualità (“autenticità”). È piuttosto il mondo della “prolificità” dove, ancor prima dell’avvento dei social, l’identità personale dipende da quello che gli altri dicono di noi. Così tendiamo a creare immagini di noi stessi (i “profili”) sulla base della figura che ha raccolto il consenso del “pubblico”.
The Truman Show rappresentò un svolta anche per la carriera di Jim Carrey, molto diverso in quella occasione dall’attore comico diventato popolare a livello mondiale. La magistrale interpretazione nel film diretto da Peter Weir gli valse un Golden Globe come miglior attore drammatico. E anche l’inquietante figura del regista-demiurgo Christof, quasi “divinizzato”, meritò a Ed Harris un Golden Globe e una nomination agli Oscar.
The Truman Show, quando il cinema diventa profezia
Come ha detto qualcuno, The Truman Show era filosofia – o forse una profezia – mascherata da blockbuster. La vita di Truman su Seahaven Island – un gigantesco studio televisivo con una infinità di telecamere piazzate ovunque – è una sorta di incessante reality show dove sembrano svanire i confini tra finzione e realtà, tra pubblico e privato, tra artificiale e naturale. È la vita stessa a diventare spettacolo, nell’era dei media elettronici e del villaggio globale annunciato in tempi non sospetti da Marshall McLuhan.
Aver messo in scena questa tendenza, ancor più accentuata dall’esplosione dei social media, rende davvero profetico questo film pluripremiato. Di grande impatto emotivo la scena che vede Truman impegnato a lottare, in sella a una minuscola barchetta, contro le tempeste artificiali scatenate dal regista-burattinaio che cerca ad ogni costo di impedirgli di uscire dal mondo a misura di fiction di Seahaven Island.
Ancora più potente però è la sequenza finale dove la porta sul cielo dipinto, ovvero la fine dell’immenso set, rappresenta per Truman-Carrey il ritorno alla vita reale. Una vita più cruda, indubbiamente, ma anche libera dalla menzogna e dalla manipolazione. The Truman Show in fondo ci dice che l’uomo non può fare a meno della verità (che è solo un altro nome della realtà), senza la quale per lui tutto diventa caos.