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Venezia 64: primo giorno di Gabriele

Dal cinema muto al digitale: così si presenta Venezia 64, che sulla carta sembra uno dei festival più interessanti degli ultimi anni. E dopo le prime proiezioni, in questo primo giorno, l’impressione sembra essere confermata: Muller c’ha visto bene un’altra volta. Almeno per ieri (e vediamo se questo verrà confermato nei prossimi giorni) sembra che

30 Agosto 2007 17:22

Dal cinema muto al digitale: così si presenta Venezia 64, che sulla carta sembra uno dei festival più interessanti degli ultimi anni. E dopo le prime proiezioni, in questo primo giorno, l’impressione sembra essere confermata: Muller c’ha visto bene un’altra volta. Almeno per ieri (e vediamo se questo verrà confermato nei prossimi giorni) sembra che Venezia sia l’assoluta mamma del cinema, capace di andare da Griffith al Mini Dv, scoprire nuovi talenti e riconfermare i maestri.

Ha aperto le danze Joe Wright col suo atteso Atonement (da noi Espiazione), versione cinematografica del romanzo di Ian McEwan. Impressione: credo che il romanzo, che non ho letto, possa davvero essere un piccolo gioiello. La storia è molto bella e non manca di tragedia, e con una materia così è difficile non coinvolgere lo spettatore. Però Wright non riesce ad essere allo stesso tempo raffinato (perchè lo è) e davvero cinematografico, e non riesce ad essere autenticamente passionale e tragico (tant’è che nella scena dell’amplesso in biblioteca fra una bella Knightley e un davvero bravo McAvoy, gran riconferma dopo L’ultimo Re di Scozia, ci può anche scappare la risata). E al solito a volte la tira per le lunghe, troppo. Siamo comunque almeno una spanna sopra al laccatissimo e anonimo Orgoglio e Pregiudizio (non ci voleva molto -starà dicendo qualcuno di voi-), anche perchè alcune buone carte ci sono senza dubbio: almeno un piano sequenza degno d’interesse (ma forse “sbagliato” e abbastanza inutile alla narrazione), che ci fa vedere gli orrori della guerra, un’originale colonna sonora (alcuni brani costruiti addirittura sul pigiare dei tasti della macchina da scrivere e sui click degli accendini) e, appunto, il già citato McAvoy. Ma saprò spiegarmi meglio con una recensione, che spero di poter scrivere prima dell’uscita del film (credo a settembre) nelle nostre sale.

Sempre in concorso troviamo un Ang Lee in gran forma che regala scandalo e divide, ma capace di passare da una storia d’amore ambientata in terra di western ad un’altra, ambientata questa volta in terra di spionaggio. E riesce a conservare tutte le caratteristiche del suo cinema, tornando in patria come le sue prime divertenti commedie e mostrandoci il lato dell’amore che più gli interessa: la passione. Che scoppia tra un “traditore” che, nella Seconda Guerra Mondiale, sta dalla parte dei Giapponesi e una ragazza cinese che fa parte della Resistenza e deve sedurre l’uomo per incastrarlo ed eliminarlo. Tempi dilatati si alternano a momenti più tesi, e in più occasioni nella seconda metà a momenti decisamente erotici (addirittura curiosamente spinti): chissà come sarà conciato e mutilato in sala. Coinvolgente ed interessante, Lust, Caution riconferma l’abilità del suo regista di saper descrivere i suoi protagonisti con amore e umanità, con un occhio di riguardo ovviamente alle relazioni che si instaurano tra loro.

Il sottoscritto si è poi visto altri tre film. REC della coppia Balaguerò/Plaza (già registi del violentissimo ma irrisolto Para entrar a vivir, presentato l’anno scorso sempre a Venezia), che segna un punto di svolta -forse- nella carriera del regista spagnolo: tutto ciò che non ha mai fatto negli altri film lo si ritrova in questo, che dura però 85 minuti. Ai silenzi e al ritmo lento (leggi: noia) troviamo un ritmo frenetico, condito da una buona dose di gore. Progetto alla “Blair Witch Project” con macchina a mano, come se fosse un reportage televisivo, è citazionista e abbastanza divertente, ma ha un difetto abnorme: è talmente urlato da dar fastidio lungo tutta la sua visione. Ma ha entusiasmato il pubblico.

Si continua con Lo chiamavano Trinità, per la retrospettiva del western, divertente da vedere con un grande pubblico in sala, e con una visione di Intolerance in versione restaurata (in realtà con qualche difetto digitale): Griffith al cinema è un’esperienza.

A domani con altre visioni e anticipazioni, tra cui gli attesi Branagh e Kitano

Festival di Venezia