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Up – La recensione in anteprima

Up (Up) Regia di Pete Docter e Bob Peterson.Carl Fredricksen ha trascorso una vita felice con la sua amata Ellie inseguendo il sogno di un viaggio alla scoperta del Sud America, sulle orme di un famoso avventuriero. Rimasto solo a 78 anni, Carl vive nella decrepita, ultima casetta di un quartiere che sta trasformandosi in

pubblicato 15 Ottobre 2009 aggiornato 2 Agosto 2020 09:40

Up (Up) Regia di Pete Docter e Bob Peterson.

Carl Fredricksen ha trascorso una vita felice con la sua amata Ellie inseguendo il sogno di un viaggio alla scoperta del Sud America, sulle orme di un famoso avventuriero. Rimasto solo a 78 anni, Carl vive nella decrepita, ultima casetta di un quartiere che sta trasformandosi in un cantiere. Carl è attaccato a quella vecchia casa che è stata testimone di tutti i momenti più belli trascorsi con l’adorata moglie Ellie. Nel momento in cui Carl è costretto ad abbandonare i ricordi conservati in quelle quattro mura, ecco la decisione attesa da una vita. Con un folle e geniale gesto trasforma la sua abitazione in una mongolfiera legata a migliaia di palloncini colorati e prende il volo in direzione del Sud America, verso le cascate Paradiso dove avrebbe voluto andare con Ellie. C’è però un clandestino a bordo, il volenteroso boy scout Russell, un paffuto ragazzino impacciato ma coraggioso. Inizia così un incredibile viaggio verso il Sud America dove di due improbabili eroi faranno i più inaspettati incontri, imparando così a volersi bene quasi come nonno e nipote.

I primi minuti di Up sono cinema allo stato puro. In una manciata di sequenze, quasi senza parole si ripercorre l’intera vita del burbero Carl Fredricksen a partire dal giorno in cui, ancora bambino, conobbe Ellie, l’amore della sua vita con cui condivideva la passione per l’avventura e l’ammirazione per il grande esploratore Muntz. Un incipit strepitoso capace di descrivere una vita di devozione e di grandi sogni con una dolcezza rara, grazie al quale risulta impossibile non affezionarsi al personaggio di Carl, di cui si comprende perfettamente la sua psicologia, i motivi dei suoi comportamenti e dei suoi modi di fare apparentemente spigolosi.

Si prova la sensazione di conoscerlo da una vita. Basta così una scena per capire che siamo di fronte a un film che oltre a stupire per la sua qualità tecnica si appresta a raccontare una storia costruita in modo esemplare, una sceneggiatura degna di entrare nell’olimpo del grande cinema (senza esagerare).

Giunti al decimo film, gli Studi Pixar dimostrano di essere tecnicamente avanti anni rispetto alla diretta concorrenza. Alla corte di John Lasseter questa volta ci sono Pete Docter, già regista di Monsters & Co. (che personalmente eleggo il capolavoro Pixar) e Bob Peterson (coautore di A Bug’s Life e Toy Story 2) ma la vera novità di Up è l’utilizzo delle tecnologie di proiezione tridimensionale.

Una tecnologia utilizzata come un’altra matita nell’astuccio, così ha commentato Pete Docter è la scelta di utilizzare il 3D per Up. Proprio in queste parole si differenzia il lavoro della Pixar da quello degli altri studi di animazione, una tecnologia come mezzo per raccontare una storia, non come fine (i film in animazione digitale 3D visti fino a oggi sono lontanissimi dalle vette raggiunte con Up).

Nei lavori Pixar, in Up in particolare, l’impatto con la tecnologia è mitigato dalla grande propensione alla narrazione, all’invenzione, alla costruzione di personaggi splendidamente caratterizzati. Il rapporto tra l’anziano Carl e il piccolo boy scout Russell è costruito attraverso una graduale evoluzione in un coinvolgente crescendo drammatico, corrispondente all’evolversi delle avventure sud americane della “strana coppia” di viaggiatori, in cui l’anziano riesce finalmente a elaborare la perdita dell’amore della sua vita, mentre il giovane supera le difficoltà di un rapporto familiare difficile (come di tradizione Disney è orfano di madre). Russell trasferisce infatti il bisogno di affetto sulle sue attività scoutistiche nella speranza di attirare l’attenzione di un padre assente e di una madre surrogata. Il piccolo Russell imparerà a cresce, a fronteggiare con coraggio

Valori come amicizia, solidarietà, comprensione, rapporti di generazioni diverse, ma anche (e soprattutto la morte e la vecchiaia) non appesantiscono il film con il classico messaggio moralista, anzi proprio Up, mascherato dai colori molto accesi e da un disegno fortemente caricaturale, si rivela in realtà il film più adulto mai realizzato dalla Pixar, sebbene perfettamente adatto anche a un pubblico infantile.

Il personaggio di Carl, nella sua apparente semplicità, è uno dei character più complessi mai realizzati per un film in computer graphic, che ha avuto come modello per i suoi lineamenti niente meno che Spencer Tracy, mentre il suo temperamento è certamente condito con lo spirito di Walter Matthau.

Pregevole il lavoro fatto dai doppiatori italiani, che per una volta non fanno rimpiangere l’edizione originale. La voce di Carl è di uno straordinario Giancarlo Giannini, perfetto nel ruolo. Il cattivo Charles Muntz Carl (novello Howard Hughes, con lo sguardo di Kirk Douglas) è doppiato da Arnoldo Foa’, mentre il simpatico cane parlante Dug ha la voce di Neri Marcorè.

Qualcuno ha azzardato che Up possa essere considerato il Gran Torino del cinema di animazione. La cosa certa è che si tratta di due capolavori.

Up esce nei cinema il 15 ottobre

Voto Carlo: 9,5
Voto Federico: 10
Voto Simona: 9
Voto Gabriele: 10
Voto Carla: 9