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Il missionario – La recensione

Il missionario (Le missionnaire) Regia di Roger Delattre, con Jean-Marie Bigard, David Strajmayster, Thiam Aïssatou, Jean Dell, Michel Chesneau, Benjamin Feitelson, Jean-Gilles Barbier, Sidney Wernicke, Philippe Faure, François Siener. Dopo aver trascorso sette anni in carcere, Mario Diccara torna in libertà grazie a una provvidenziale riduzione di pena. Certi conti alcuni malavitosi sono ancora in

pubblicato 28 Febbraio 2010 aggiornato 2 Agosto 2020 05:09

Il missionario (Le missionnaire) Regia di Roger Delattre, con Jean-Marie Bigard, David Strajmayster, Thiam Aïssatou, Jean Dell, Michel Chesneau, Benjamin Feitelson, Jean-Gilles Barbier, Sidney Wernicke, Philippe Faure, François Siener.

Dopo aver trascorso sette anni in carcere, Mario Diccara torna in libertà grazie a una provvidenziale riduzione di pena. Certi conti alcuni malavitosi sono ancora in sospeso quindi Mario è costretto a chiedere aiuto a suo fratello per trovare un posto dove nascondersi fino a quando la situazione non si sarà calmata definitivamente. L’idea migliore è quella di raggiungere Padre Etienne, un religioso che vive in un piccolo villaggio sulle Alpi. Quando Mario arriva al paese scopre che l’intera cittadinanza è in lutto per la morte del religioso e le circostanze suggeriscono a Mario che sia una buona idea presentarsi come il nuovo parroco.

Prendete un vecchio adagio come “l’abito non fa il monaco” e costruiteci sopra una storia, l’idea non è certo delle più nuove ma funziona sempre. Questo meccanismo narrativo è infatti vecchio come il mondo e rimanda a uno dei modelli narrativi più tradizionali legati al mondo della commedia. Un personaggio viene proiettato all’interno di un mondo completamente differente da quello a cui è abituato e questo spiazzamento offre infinite possibilità per dare il via a un vorticoso susseguirsi di situazioni comiche, di fraintendimenti colossali e di attimi di imbarazzo: è la storia della comicità dopotutto. Torniamo per un attimo all’abito del monaco. Il talamo rappresenta pur sempre un capo di abbigliamento che automaticamente veicola un gran numero di messaggi ed distintivo di una categoria ben specifica con il campo semantico che ne compete.

Non a caso di Galeotti travestiti da preti ne abbiamo visti parecchi nella storia del cinema, basti citare lo splendido Non siamo angeli (1955) di Michael Curtiz con Peter Ustinov, Humphrey Bogart e Basil Rathbone, rifatto nel 1989 da Neil Jordan con Sean Penn, Demi Moore e Robert De Niro. Allo stesso tempo sono numerosi i curati dai comportamenti poco ortodossi che non disdegnano di alzare le mani in nome della fede, come Un uomo tranquillo di John Ford o il celebre Don Camillo di Fernandel. Proprio a questo pretino della Bassa Padana sembra ammiccare il corpulento Mario (non a caso i film ambientati a Brescello sono stati grandi successi in Francia, nazione coproduttrice della serie) e il gioco è sempre lo stesso. Il protagonista cerca un tranquillo rifugio, approfitta di un’occasione per dare vita a uno scambio di persone e non fare ameno può che finire in mezzo a mille guai.

Jean-Marie Bigard ha il phisique du role del rugbista di mischia piuttosto che del parroco da paese di montagna ma ben si cala nei panni del suo personaggio. La firma produttiva di Luc Besson garantisce la giusta dose di ritmo per trasformare una commedia francese in un film adatto per il pubblico internazionale, ma non significa che tutto quello che Besson tocchi si trasforma in oro. L’incastro sembra funzionare tra malavitosi vestiti da preti e preti che si comportano da malavitosi (Patrick , il fratello di Mario è un vero sacerdote, ma quando si tratta di aiutare la famiglia è pronto a tutto) circondati da personaggi al limite del grottesco, ma l’ingranaggio non scorre senza attriti.

Il film scivola leggero tra battute gusto non proprio raffinato e scene di azione che vorrebbero essere spettacolari ma i limiti più evidenti sono evidenziati dalla regia di stampo eminentemente televisivo di Roger Delattre che non riesce a tenere il passo con gli altri cineasti della scuderia di Luc Besson, e forse per questo è stato confinato in un paesino delle Alpi invece che sulle frequentatissime superstrade di Marsiglia o le balie multietniche di Parigi. Gli action movie prodotti in Francia hanno un seguito internazionale che meriterebbe un interesse maggiore (forse qualcuno in Italia dovrebbe capire dai cugini che il cinema di genere al box office funziona ancora).

Un’ora e mezza di intrattenimento leggero tra gag che ricordano lo slapstick di Tati e situazioni paradossali della più classica commedia degli equivoci, senza grandi trovate e senza evidentissime cadute di stile. Non siamo ne’ in Paradiso ne’ all’Inferno, ma un quel limbo dove trascorrono l’eternità coloro che vissero sanza infamia e sanza lode. Don Camillo che nasconde il bastone di ciliegio alla vista del Cristo Crocefisso rimane un punto di arrivo ancora molto lontano da raggiungere.

Voto Carlo 5,5