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Science+Fiction 2011: recensione in anteprima di Cave of Forgotten Dreams 3D di Werner Herzog

Herzog ci porta nella grotta Chauvet, scoperta nel 1994 dopo 30000 anni: leggi la recensione su Cineblog

pubblicato 11 Novembre 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 06:48

La grotta Chauvet, situata in Francia, deve il suo nome allo speleologo Jean-Marie Chauvet che la scoprì praticamente per caso nel 1994. Da quel momento si è svelato un vero e proprio mondo inabissato, contenente centinaia di dipinti antichissimi risalenti a più di 30000 anni fa…

Una piccola telecamera “aggiornata” con la tecnologia stereoscopica, una curiosità infinita e la sua “solita” voce che i fan conoscono bene. Werner Herzog trova di nuovo pane per i suoi denti e una nuova sfida, e con Cave of Forgotten Dreams aggiunge un nuovo imperdibile documentario alla sua filmografia. Costola diretta dei suoi ultimi lavori, il film viene presentato come una riflessione sulla nascita dell’arte.

La partenza è chiaramente quella: Herzog scende nelle profondità della grotta Chauvet per filmare quegli straordinari dipinti di animali (cavalli, rinoceronti, orsi, leoni…) e per documentare quel che resta della vita dell’uomo che fu. Scopre così che quegli abissi profondi non erano un rifugio per gli uomini, che li usavano probabilmente per dei riti, o forse solo per esprimere la propria emozione artistica.

Prima persona “estranea” al gruppo di esperti (paleontologi, geologi e storici dell’arte in primis), ovvero gli unici a poter entrare nella grotta Chauvet da quando è stata scoperta, Herzog ha poche ore, per pochi giorni, per poter carpire il segreto che sta dentro a quel mondo antico. Ma è chiaro che non potrà mai avere prove certe su chi fossero e cosa facessero nella grotta gli uomini di 30000 anni fa: si possono conoscere scientificamente i fatti, si possono ricostruire le pitture, ma non si possono riscoprire le vere abitudini dei nostri antenati.

Per questo motivo bisogna, romanticamente, abbracciare un’idea molto più poetica, lirica e filosofica: provare a immaginare cosa ci fosse dietro alla volontà di disegnare quegli animali, abbracciando quei “sogni dimenticati” lì dentro per millenni. Attraverso suggestivi giochi di luce ed ombre, e grazie ad un ottimo uso della stereoscopia, il regista dà vita a quegli interni, ridà senso alla polvere, e dà nuova linfa agli stessi disegni.

Che sono chiaramente prova, a detta degli storici d’arte, di una palese volontà di creare immagini in movimento. Animali ad otto zampe, rinoceronti con corna prolungate, leoni con le fauci sgranate. Gli uomini della grotta sfruttavano addirittura le forme delle rocce per dare effetti tridimensionali alle loro creazioni artistiche. L’arte non è quindi certo una creazione “a posteriori”: non si spiegherebbero la somiglianza di una pittura rupestre con lo stile di Picasso o il ritrovamento in Germania di un flauto antichissimo… costruito con la scala pentatonica.

In una delle scene finali, in cui Herzog fa una lunga carrellata accompagnata solo da musica, mostrandoci i disegni che praticamente creano un “film in pianosequenza”, viene quasi il dubbio che i nostri antenati ci abbiano davvero lasciato un vero e proprio film come dono. Una forma non poco avanzata di protocinema (in 3D!). La grotta risuona così di rumori sepolti, e di battiti del cuore che tornano a farsi sentire dopo millenni. Ma quei battiti del cuore sono effettivamente quelli degli uomini del passato o sono in realtà i nostri?

Cave of Forgotten Dreams in questo senso è una costola di Encounters at the End of the World. Anche in quel caso Herzog era l’unico privilegiato a poter entrare in un gruppo chiuso (i mille scienziati dell’isola di Ross), e il viaggio alla scoperta della vita in un ambiente del genere gli offriva la possibilità di ragionare sul destino dell’uomo, sulla sua esistenza, sui suoi limiti e sulla sua inevitabile scomparsa.

In un finale a suo modo criptico ma anche lucido (con quei coccodrilli – albini, mutanti, radioattivi – che ricordano i rettili de Il cattivo tenente!), Herzog ribadisce il concetto della sua filosofia: tutto passa, anche noi. Ed è estremamente malinconico, poetico e devastante pensare a quando “altri noi” ragioneranno sul nostro modo di vivere, sui nostri resti, sulla nostra arte e sui nostri sogni dimenticati.

Voto Gabriele: 9

Cave of Forgotten Dreams (Cave of Forgotten Dreams, Francia / Canada / USA / Gran Bretagna / Germania, 2010, documentario) di Werner Herzog; con Charles Fathy e Werner Herzog.

Qui il trailer.