Home Festival di Cannes Mommy: recensione in anteprima del film di Xavier Dolan in concorso a Cannes 2014

Mommy: recensione in anteprima del film di Xavier Dolan in concorso a Cannes 2014

Festival di Cannes 2014: la vita, quando ti opprime, è come un grande schermo con formato 1:1. Ma quando la vita finalmente ti sorride, lo schermo si apre vertiginosamente: e quello che vedi ti toglie il fiato. Al suo quinto lungometraggio, Xavier Dolan firma con Mommy la sua opera più sentita e toccante. Il suo piccolo, imperfetto, devastante capolavoro da Palma d’oro.

pubblicato 22 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:30

È da tre film che Xavier Dolan è fissato con i formati dello schermo. Laurence Anyways, saga di 3 ore incentrata su un uomo che diventa donna, era girato tutto in 4:3. In Tom à la ferme nelle scene di violenza e corse lo schermo si trasformava da 1.85:1 in CinemaScope in modo quasi impercettibile. Questo per dire che anche Mommy non fa eccezione, anzi…

Qui il formato addirittura è 1:1. Si tratta senz’altro della scelta stilistica più ardita che Dolan abbia fatto finora. Denominato scherzosamente da qualcuno anche “formato iPhone”, visto che si presenta in realtà come un rettangolo verticale, non ti lascia ovviamente vedere ai lati dell’immagine, quando l’occhio al cinema si è sempre abituato proprio a vedere i lati dell’immagine piuttosto che gli estremi verticali.

Per la prima ora Mommy si segue con una sensazione di disagio, dovuta innanzitutto a questo tipo di formato piuttosto “antipatico” (non c’è niente di male nell’ammetterlo, anzi). Viene naturale cercare le parti mancanti dei visi tagliati dal nero, provare la sensazione di voler allargare con le mani questo rettangolo per farlo diventare almeno un 4:3. Ecco: in Mommy un personaggio ad un certo punto allarga con le mani letteralmente lo schermo, che da 1:1 si riempie tutto “d’immagine”.

Ed è una liberazione per lo spettatore, visto che questa scelta gli fa riscoprire la bellezza e la gioia del “vedere” senza imposizioni estreme e lo fa finalmente respirare. Ovviamente Dolan non è uno sprovveduto, e tutto quello che vi abbiamo raccontato l’ha fatto apposta: nella sua testa c’era già tutto, sia le intenzioni registiche che la reazione del pubblico.

Diane detta Die, un’energica donna single rimasta vedova tre anni fa, si ritrova a doversi riprendere in casa il turbolento figlio sedicenne Steve, affetto dal disturbo da deficit di iperattività. Proprio quando Steve arriva nella nuova casa dove Die si è trasferita da poco, la donna viene licenziata e deve sbarcare il lunario, tra proposte di lavoro e colloqui. Intanto i due conosco Kyla, la timidissima vicina di casa balbuziente che si offre di dare ripetizioni scolastiche a Steve.

Qualcuno potrebbe pensare che Mommy sia una specie di punto d’incontro degli altri lavori di Dolan. Si pensi solo agli attori: Diane è interpretata da una suprema Anne Dorval, madre del protagonista di J’ai tué ma mère (e presente anche in Les amours imaginaires e Laurence Anyways); Kyla è interpretata da un’altrettanto meravigliosa Suzanne Clément, compagnia del protagonista di Laurence Anyways.

Steve è interpretato da Antoine-Olivier Pilon, che ha avuto una piccola parte in Laurence Anyways e soprattutto era il protagonista del videoclip di College Boy degli Indochine diretto da Dolan. E ad un certo punto compare pure Pierre-Yves Cardinal, già con Dolan in Tom à la ferme. Ci sono proprio tutti, verrebbe da dire – a parte Dolan stesso, che come nel terzo film non compare in veste di attore -: ma Mommy è sicuramente un passo in avanti nella sua filmografia.

Vista la tematica, a prima vista parrebbe che Mommy sia il film gemello dell’esordio di Dolan, J’ai tué ma mère, anche per la presenza della Dorval nel ruolo della madre. Invece è forse il suo rovescio della medaglia. In J’ai tué ma mère c’era un ragazzo che stava diventando uomo e voleva liberarsi del fardello del cordone ombelicale. Qui c’è un ragazzo fragilissimo, più di quello che lo spettatore può pensare all’inizio, che ha un bisogno esagerato della madre.

Il rapporto tra i due è speciale sin da subito: lo si nota dal momento che Diane va a prendere il figlio al centro di rieducazione e iniziano già a punzecchiarsi. Diane ci viene presentata come una donna esplosiva, bellissima e giovanile nonostante l’età, senza peli sulla lingua e piena di energia. Steve è invece iperattivo nel vero senso del termine: non sta mai fermo, salta, fa smorfie, abbonda di parolacce, ed è molto “fisico”.

C’è poi il loro rapporto con Kyla. Sono di un calore immenso le scene tra lei e Diane, due donne con fardelli diversi sulle spalle. La famiglia di Kyla, formata da un marito forse molto assente e una figlioletta, non si vede quasi mai, giusto due informazioni per capire quanto sia instabile e quanto la donna non veda l’ora di fuggire (per qualche ora al giorno, il necessario per tirare avanti). Il rapporto affettuoso tra i tre, che vive di dialoghi scritti al solito in modo sopraffino, viene sigillato con un selfie girato al rallenti.

Dolan firma con Mommy il suo film meno queer, ovvero quello che non ha alcun personaggio dichiaratamente omosessuale al suo interno. Certo, Steve ha le sue belle ambiguità, e il rapporto tra le due donne non è privo di tensione omoerotica. Nulla di esplicito, comunque: se Steve sia gay o meno o se le due abbiano desideri inespressi l’una verso l’altra non importa nulla a nessuno. Qui c’è solo un trio di persone che sta bene assieme e che si fanno forza l’un l’altra. Aiutandosi, chiacchierando, discutendo, ballando, bevendo e fumando.

Stilisticamente mi sembra che questo sia il film più vicino a Laurence Anyways. Dolan ritrova un gusto più barocco nella messinscena rispetto a Tom à la ferme, dal quale tuttavia ha ripreso la capacità di tenere il suo stile per le briglie. In colonna sonora tornano i pezzi celebri che nel film precedente erano stati sostituiti da una colonna sonora hitchcockiana: si va da una Celine Dion versione francese a White Flag di Dido, da Wonderwall degli Oasis a Blue degli Eiffel 65, da Vivo per lei versione karaoke a Born to Die di Lana Del Rey.

La scena del karaoke, in cui Steve si esibisce in una stonatissima ma sentita Vivo per lei dedicata alla madre – che però sta flirtando con un vicino di casa -, è uno dei tanti grandi momenti del film che non ci scorderemo. A caldo contiamo almeno quattro o cinque momenti da applauso a scena aperta, com’è tra l’altro successo in un caso anche alla prima proiezione stampa a Cannes.

Sono quei momenti che illuminano il film e portano alla commozione totale, e che sopperiscono ai difetti del film (un’eccessiva lunghezza, una parte finale che potrebbe non reggere emotivamente rispetto a tutto il resto, qualche sbavatura). Sono soprattutto momenti che corrispondono a svolte narrative fondamentali per i protagonisti, per i quali si tifa senza sé e senza ma: lo sai che si meritano il meglio. Lo sai che sono personaggi che si meritano un formato 1.85:1 sempre e comunque. Batti cinque, Xavier.

Voto di Gabriele: 10
Voto di Antonio: 10

Voto di Federico: 10

Mommy (Canada 2014, drammatico 140′) di Xavier Dolan; con Anne Dorval, Antoine-Olivier Pilon, Suzanne Clément. Prossimamente in sala grazie a Good Films.

Festival di Cannes