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Quel fantastico peggior anno della mia vita: recensione in anteprima del film vincitore del Sundance 2015

Me and Earl and the Dying Girl è già uno dei film indie americani di successo dell’anno. Vincitore al Sundance 2015, il film di Alfonso Gomez-Rejon ha incontrato il favore della critica e sta commuovendo il pubblico. Grazie a due attori bravissimi, un bel ragionamento sulla creatività dei giovanissimi, ma anche troppa meccanica consapevolezza.

pubblicato 16 Giugno 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 15:04

C’è stato un momento, intorno alla prima metà degli anni 2000, in cui in molti si sono ‘divertiti’ a stigmatizzare una certa fetta di cinema indie americano. Ribattezzato ‘cinema da Sundance’, è una descrizione che non è mai più morta e si è fatta velocemente etichetta: riguarda soprattutto una certa estetica, soprattutto per quel che riguarda le commedie.

Un po’ amare, un po’ sognanti, alle volte un po’ quirky (ovvero stravaganti ed eccentriche). L’esempio lampante è Little Miss Sunshine, ma anche film che il Sundance non l’hanno manco visto (come Juno). Ecco: Me and Earl and the Dying Girl al Sundance non solo ci è stato e ci ha vinto due premi (miglior film del concorso americano e premio del pubblico), ma ha tutte le caratteristiche del ‘film da Sundance’ perfetto.

Una premessa che però non è per forza denigratoria: chi spara a priori contro certo tipo di film si perde a volte alcuni loro pregi. Nel film di Alfonso Gomez-Rejon, tratto da un romanzo di Jesse Andrews (anche autore della sceneggiatura), c’è ad esempio un ragionamento che mi pare molto interessante, e molto più stimolante di tutto il contorno. Contorno che a dire il vero sarebbe il cuore del film.

Il protagonista, Greg, passa ore ed ore assieme all’amico d’infanzia Earl a girare esilaranti filmini basati su classici del cinema: così Anatomy of a Murder di Preminger diventa Anatomy of a Burger, Peeping Tom di Powell diventa Pooping Tom, A Clockwork Orange di Kubrick diventa A Sockwork Orange, e via dicendo. Ce ne saranno almeno una quarantina di omaggi nel film, senza contare tutto il più ovvio armamentario cinefilo fatto di dvd e poster.

Al di là dei titoli piuttosto facilotti, questi filmini diretti a quattro mani in modo goliardico dai due adolescenti nascondono un’evidente ‘fame’ di creatività. Anche Rachel, la protagonista a cui viene diagnosticata la leucemia e a cui Greg è ‘costretto’ almeno all’inizio a stare vicino come nuovo amichetto, nasconde in sé un’inaspettata creatività e un certo talento. Ma se lo tiene per sé, e anche grazie a quello crea un dono che è incantevole.

Come a dire: in mancanza di altro (Greg è un invisibile a-sociale, Greg è perennemente spento, Rachel è in fin di vita), saranno talento e voglia di lasciare un segno attraverso la creazione di qualcosa di unico e personale a salvare i protagonisti. E, se ci si pensa, pure a legarli tra loro in modo profondo. Peccato che questa profondità, in Me and Earl and the Dying Girl, sia solo teorica.

Paradossalmente quello che manca davvero è la chimica tra i personaggi, tra Greg e Earl, forse anche tra Greg e Rachel. Per tacere dei personaggi dei genitori. E se si pensa invece che le relazioni in qualche modo funzionino, sono comunque meno interessanti del ragionamento di cui prima e che il film espone in modo piuttosto chiaro e limpido nel finale. Certo: si può obiettare che c’è un solo vero protagonista nel film (Greg), e che il resto è ‘solo’ il mondo che gli gira attorno, che lo influenza e lo fa crescere.

Un coming of age, in sostanza? Forse, ci sta. Però stiamo parlando di un film allora molto consapevole, pure troppo, anche nel suo essere coperto da una coltre di quirkiness, di eccentricità appunto tipica del ‘film da Sundance’. Ogni stereotipo o trovata ovvia è in qualche modo ‘giustificata’ in fase di sceneggiatura dalla voce off del protagonista, e così facendo si ottiene un effetto che alla lunga comincia a diventare davvero meccanico.

Me and Earl and the Dying Girl dimostra una programmaticità allarmante, soprattutto nel momento in cui decide di ‘tradire’ volutamente le promesse e un patto fatto in precedenza col pubblico. Una scelta furbissima che si tenta di coprire con la spiattellata consapevolezza dell’operazione, e che farà ovviamente versare fiumi di lacrime a destra e a manca e potrebbe pure essere santificato dagli Oscar.

Però, non ce ne vogliano gli estimatori del film (sono tantissimi, basta leggere in giro), quello che doveva essere una cancer comedy inedita non è poi così diversa da altri prodotti del suo genere (50 e 50, L’amore che resta). Ma Thomas Mann e Olivia Cooke riescono a portare ai loro personaggi momenti di inaspettata verità. Se a Greg e Rachel ci si crede sempre, nonostante tutto, è solo grazie a loro.

[rating title=”Voto di Gabriele” value=”5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7.5″ layout=”left”]

Me and Earl and the Dying Girl (USA 2015, commedia/drammatico 104′) di Alfonso Gomez-Rejon; con Thomas Mann, RJ Cyler, Olivia Cooke, Nick Offerman, Jon Bernthal. Uscita in sala il 29 ottobre 2015 per 20th Century Fox.