Home Recensioni Rogue One: A Star Wars Story – recensione in anteprima

Rogue One: A Star Wars Story – recensione in anteprima

Là dove tutto ha avuto inizio. Rogue One: A Star Wars Story inaugura ufficialmente il “nuovo” Star Wars, quello che nei prossimi anni verrà sottoposto alle rivisitazioni più disparate, fuori da trilogie e stretta osservanza. E forse non poteva esserci traghettatore più indicato di Gareth Edwards in tal senso

pubblicato 15 Dicembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 03:17

[quote layout=”big”]Le ribellioni si fondano sulla speranza.[/quote]

Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana… Star Wars cambiava registro. Cronologicamente tra La vendetta dei Sith e Guerre Stellari (episodi III e IV per i meno addentro), Rogue One mantiene le distanze da tutto ciò che abbiamo visto sino ad ora. Avulso dalle inevitabili pressioni de Il risveglio della Forza, Gareth Edwards ha mano un po’ più libera e può girare un film senza troppe linee guida, e per lo più inerenti alla trama. Per il resto cambia parecchio, e con questa storia parallela inserita a pieno titolo nella timeline ufficiale ci viene proposta una variante, quasi che questo d’ora in avanti possa diventare luogo di “sperimentazione” (d’obbligo le virgolette), lo spazio ritagliato ad hoc per osare, per prodursi in idee diverse sebbene affini al contesto.

Galen Erso (Mads Mikkelsen) è un ingegnere in un primo momento sottrattosi alla dipendenza dell’Impero, che gli ha commissionato l’arma definitiva, quella con cui s’intende spazzare via definitivamente la forza ribelle: la Morte Nera. Costretto a tornare a lavoro sul progetto, Galen si trova a dover abbandonare la figlia Jyn (Felicity Jones), affidata alla cura dell’amico Saw Gerrera (Forest Whitaker). Il Consiglio dell’Alleanza, venuto a sapere da Cassian Andor (Diego Luna) di questo progetto, predispone tutto per sventare la minaccia; il piano consiste nell’uccisione dell’ingegnere capo, ossia Erso, sperando d’interromperne la costruzione. La missione viene affidata proprio a Cassian, che nel frattempo s’imbatte in Jyn, oramai adulta nonché ignara degli ordini impartiti al suo nuovo compagno di viaggio.

Gareth Edwards si conferma uno dei registi più competenti, nell’ambito del genere, di cui Hollywood attualmente dispone: il suo è un film di guerra che si sofferma sulla vicenda di un gruppo di persone chiamate ad affrontare l’impossibile, ovvero ribaltare le sorti di un conflitto che li vedi a priori soccombere sotto ogni punto di vista. Sulla carta sbaragliare l’Impero è per lo più un’idea folle, tale è la sproporzione delle forze in campo nonché il dominio che quest’ultimo esercita sulla galassia. Non si resiste al passatempo delle citazioni, ed allora diremo che Rogue One potrebbe benissimo attingere da titoli come I cannoni di Navarone, così come da Fitzcarraldo; un po’ war movie un po’ avventura stile anni ’80 con un lievissimo taglio autoriale perfino, due nature che il film alterna sì con un’attenzione da primo della classe, senza però farsi in alcun modo limitare.

Si pensi alle prime sequenze, quel breve ma intenso avvicendarsi di pianeti che ci ricorda perché Star Wars esiste prima di ogni altra cosa, ovvero per venire in qualche modo incontro alla nostra (s’immagina) temporanea impossibilità di viaggiare nello spazio. Un gioco di panoramiche ed inquadrature strette che Edwards gestisce come solo lui sa fare già dal suo film d’esordio; sia in Monsters che in Godzilla si percepisce infatti la tensione del regista britannico verso il mostrare tanto il micro quanto il macro quali due componenti di un’unica realtà, che è la nostra ma che può ed in qualche misura dev’essere soprattuto quella del cinema. Tale fattispecie rappresenta l’elemento nel quale Edwards fluttua con ammaliante disinvoltura, pur tenendo sempre lo sguardo fisso sulla storia che racconta.

Sì perché se da un lato il nostro torna al suo primo amore, quello stile guerrilla che lo ha imposto all’attenzione dell’industria dorata, dall’altro adotta un andamento molto classico nel modo di raccontare la vicenda, scevra di elementi che ne appesantiscano la tenuta. Tradizione e innovazione, termini entrambi da usare con le proverbiali molle, a tal punto se ne abusa, ma che di tanto in tanto è bene ripescare, specie in casi come questi, quando un regista tutto sommato giovane riesce ad infondere quel quid che fa la differenza in un progetto così costoso, e che perciò deve tenere conto di troppe cose. Basterebbe la corposa e corroborante scena che precede il finale, pregna sia dal punto di vista visivo che di significato, con implicazioni etiche e di conseguenza politiche mica da poco. E Rogue One si mostra con le spalle abbastanza larghe per far fronte quasi ad ogni compromesso.

Tutti tranne uno forse, ossia certi dialoghi. Mettiamo le mani avanti perché non ci stupirebbe si fosse trattato di un problema dovuto alla traduzione in italiano, la quale però ci consegna uscite francamente insostenibili persino per un film così mainstream come questo. Passino le oramai iconiche conversazioni tra gli stormtrooper, ma che a certi passaggi clou vengano appioppate simili uscite lascia perplessi, oltre che distrarre. Su questa falsa riga, discutibile pure la scelta di determinate voci, che letteralmente compromettono la resa di due personaggi su tutti; e se nel caso di Saw il problema sarebbe rimasto comunque, in quanto il personaggio in questione è senz’altro quello scritto e gestito peggio, diverso è il discorso per K-2SO, a cui non solo vengono affidate le note più leggere, talvolta comiche, ma da cui passa anche parecchio circa il contesto di Rogue One.

Il robot in questione si occupa infatti di strategia, perciò il suo è un continuo sciorinare numeri in percentuale di riuscita o insuccesso, con una preponderante tendenza verso quest’ultima possibilità. Tutto ciò a rimarcare l’assurdità della missione che i ribelli si sono dati, contro tutto e contro tutti. Didascalico quanto si vuole, ma ricordiamoci che Rogue One, data la sua collocazione temporale, doveva anche offrire delle coordinate circa l’ambiente pre-Una nuova speranza, quando ancora tale speranza per l’appunto non si sa nemmeno cosa sia. Solo alla fine capiremo quanto sia azzeccato il titolo dunque, prima di quegli ultimi cinque/dieci minuti ai quali viene relegato il fan service più duro, anello di congiunzione tra episodi. Nulla di gratuito però, perché fino a quel momento Rogue One si è retto piuttosto bene sulle proprie gambe, sottoponendoci un’alternativa che piace e che convince. Esattamente là dove tutto ha avuto inizio.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7.5″ layout=”left”]

Rogue One: A Star Wars Story (USA, 2016) di Gareth Edwards. Con Felicity Jones, Diego Luna, Ben Mendelsohn, Mads Mikkelsen, Riz Ahmed, Forest Whitaker, Donnie Yen, Jiang Wen, Alan Tudyk, Jonathan Aris, James Earl Jones, Genevieve O’Reilly, Warwick Davis e Valene Kane. Nelle nostre sale da giovedì 15 dicembre 2016.