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Stasera in tv: “Supercondriaco” su Rai 3

Rai 3 stasera propone “Supercondriaco – Ridere fa bene alla salute”, commedia del 2014 diretta da Dany Boon e interpretata da Dany Boon, Alice Pol, Kad Merad e Jean-Yves Berteloot.

pubblicato 2 Gennaio 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 02:50

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Cast e personaggi

Dany Boon: Romain Faubert
Alice Pol: Anna Zvenka
Kad Merad: Dott. Dimitri Zvenka
Jean-Yves Berteloot: Anton Miroslav
Judith El Zein: Norah Zvenka
Marthe Villalonga: Madre di Dimitri
Valérie Bonneton: Isabelle
Bruno Lochet: Poliziotto dell’ufficio immigrazione
Jérôme Commandeur: Guillaume Lempreur
Jonathan Cohen: Marc
Vanessa Guide: Manon
Marion Barby: Nina Zvenka

 

Trama e recensione

All’alba dei 40 anni, Romain Faubert non è ancora sposato e non ha figli. Fotografo per un dizionario medico online, Romain è vittima di un’ipocondria che segna la sua vita ormai da troppo tempo, facendo di lui un nevrotico in preda alle paure. Il suo unico, vero amico è il dottor Dimitri Zvenka, suo medico curante, la cui unica colpa è stata prendere a cuore il caso di Romain, salvo poi pentirsene amaramente. Il malato immaginario, infatti, è un soggetto difficile da gestire e Dimitri farebbe qualsiasi cosa per sbarazzarsene definitivamente. Zvenka pensa, però, di aver trovato il rimedio che lo libererà definitivamente, ma senza traumi, da Romain Faubert: lo aiuterà a trovare la donna della sua vita. Per questo lo invita alle feste che organizza a casa, lo fa iscrivere a un sito internet di incontri, lo obbliga a fare sport, gli spiega come comportarsi con le donne e come conquistarle. Eppure, trovare la donna capace di sopportarlo e convincerlo, per amore, a dire addio all’ipocondria si rivela alquanto difficile.

 

 

Intervista a Dany Boon

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Partiamo proprio da lei. Un super-ipocondriaco! Perché il Supercondriaco, in realtà, è lei…

È vero. L’argomento dell’ipocondria mi tocca molto da vicino. Ormai sono una persona adulta, responsabile delle mie azioni e delle mie nevrosi, e devo ammettere di essere molto angosciato dalle malattie, come tanti altri artisti d’altronde. Mi basta percepire il minimo sintomo che mi convinco di essere gravissimo, o addirittura in stato terminale. Se ho la febbre a 38°5, mi sento praticamente in punto di morte! Per questo motivo, sento spesso il mio medico di base. Si chiama Roland, e lo vediamo spesso nel film. Ormai, dopo vent’anni, è diventato un amico. Conosco a memoria il numero di telefono del suo studio; ho anche quello di casa, perché so che tiene il telefono sul comodino anche di notte! Deve aver rimpianto parecchio di avermelo dato…

 

Oltre al medico generalista, ha consultato anche degli specialisti del settore?

Certo. Faccio spesso degli approfondimenti, magari in compagnia di amici e colleghi che hanno lo stesso problema. Da poco ho scoperto anche il cosiddetto body scan, una sorta di TAC, ma molto più avanzata, e l’ho già usata due volte. A dire la verità, l’ipocondria è una patologia molto più stressante per chi mi circonda, mia moglie o i miei figli ad esempio. Però è molto apprezzata dagli assicuratori! Sto sempre attento a non ammalarmi, e ho cambiato radicalmente il mio stile di vita: faccio tanto sport, scelgo con cura quello che mangio. È vero, quest’attenzione finisce per generare altre nevrosi, se solo penso ai miei genitori che cercavano sempre le cose meno care da mettere in tavola!

 

La storia del film ha a che fare con queste inquietudini? Possiamo dire che è un modo per esorcizzare la sua ipocondria?

Prima di tutto, merito dell’autoironia, questo film è diventato un modo per esorcizzare le mie manie, riuscendo a far ridere gli altri attraverso me stesso. Più una storia è sincera e personale, più la commedia sarà efficace e ci si potrà spingere oltre, esplorando il delirio e la follia. Come nel film, anche io apro le porte con i gomiti e mi lavo le mani se per caso ho digitato un codice su un apparecchio. E anch’io preferirei cadere dalle scale piuttosto che tenermi al corrimano.

 

L’idea di scrivere e realizzare Supercondriaco, in qualche modo, è nata durante le riprese di Un piano perfetto, ma all’inizio il progetto era diverso…

Sì, inizialmente il film doveva chiamarsi Une jolie ch’tite famille. Essendo un regista abbastanza atteso, osservato e criticato, ascolto volentieri i consigli di chi mi circonda e alcuni mi hanno fatto notare che, anche in questo caso, avrei fatto un film sul Nord. Amo la mia storia e adoro la mia regione, ma ho ascoltato tutti i commenti e, a poco a poco, ha preso forma Supercondriaco (che, comunque, avevo in mente già da un po’ di tempo).

 

Il film parla anche della tendenza, molto attuale, di curarsi attraverso Internet…

È vero, basta andare su Google e immediatamente si trovano migliaia di immagini e spiegazioni sulla malattia che pensiamo di avere. Sui forum si leggono storie e testimonianze drammatiche e terribili. Il mio carissimo amico medico di base mi ha detto che anche in ambito professionale, tra medici, oggi si parla molto dell’argomento. I medici si trovano sempre più spesso di fronte a pazienti che non arrivano più con dei sintomi, ma direttamente con la diagnosi!

 

Un aspetto molto interessante di Supercondriaco è che il film prende spunto dal tema dell’ipocondria, ma ne affronta subito altri, come quello dell’identità o del rapporto uomo-donna.

È vero, ecco perché il progetto ha avuto una genesi abbastanza lunga. In effetti, in sé, l’ipocondria non è un soggetto da commedia, perché genera idee e personaggi abbastanza negativi; si fa presto a metterla in scena. La mia idea era rappresentare come vive una persona ipocondriaca, attraverso quello che hanno vissuto, ad esempio, mia moglie o, prima di lei, mia madre. Volevo mettere in scena le difficoltà umane e sociali che incontra una persona malata come Romain che, in più, fa anche il fotografo per un dizionario medico. In fondo, credo che l’ipocondria sia un fenomeno abbastanza borghese perché, per soffrirne, devi avere il tempo e soprattutto i soldi. Insomma, volevo vedere come un uomo ipocondriaco può riuscire a trovare l’amore, malgrado la propria nevrosi. Ed è a questo punto che entra in gioco il personaggio di Kad. Romain pensa (a torto) che sia il suo migliore amico ma Dimitri, in realtà, sta tentando di trovargli una donna per farlo stare meglio e sbarazzarsi al più presto di lui. In questo senso, è un film sulla malattia ma, al tempo stesso, anche sulla seduzione e sull’immagine che gli uomini danno di se stessi alle donne. Quando Romain si cala nel ruolo di Anton Miroslav, gioca chiaramente sulle apparenze, come facciamo in fondo noi tutti, al lavoro o sotto le lenzuola, soprattutto all’inizio di una relazione. A partire da quel momento, complice la storia della rivoluzione in Tcherkistan, Romain riesce a passare per eroe e questo lo aiuta ad affermarsi nella vita reale. Così facendo, riuscirà a cambiare anche la vita di Anna, annoiata dalla routine di coppia e dalla vita quotidiana. Anna sarà vittima dello charme di questo “eroe” che le ricorda molto le sue origini, la sua identità slava.