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Ant-Man and the Wasp: recensione in anteprima

Il ritorno di Ant-Man ne conferma il potenziale, speculando ancora una volta in modo spassoso sul refrain delle dimensioni, meno quell’umorismo che ne aveva impreziosito il primo capitolo. Altra saga nella saga che si adagia?

pubblicato 13 Agosto 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 17:32

Non giriamoci attorno. Il primo Ant-Man fu una sorpresa e non per un solo motivo. Progetto nato sotto auspici fortunati, per via della presenza di Edgar Wright, non appena toccò registrare l’exit strategy di quest’ultimo il cielo cominciò ad ingrigirsi: i passaggi di testimone quasi mai funzionano. Alla fine, tuttavia, dovemmo ammettere che il salvataggio di Peyton Reed fu reale e non mera pubblicità; salvaguardando nello spirito quanto evidentemente aveva infuso Wright, quel primo capitolo risultò spassoso e piacevole.

Nessuna inconsistenza dalla quale riscattarsi, perciò, con questo sequel; tutt’al più riuscire a confermare uno di quelli innesti che, zitto zitto, è stato uno dei più felici nell’ambito dell’universo Marvel. Ed è interessante l’operazione, quella che di fatto mette un po’ da parte il protagonista, suggerendoci questa dinamica già dal titolo, che infatti riporta pure la Vespa. Evangeline Lilly (Hope), bella, bellissima. Non solo, anche protagonista in fondo, senza equivoci di sorta, dato che il film si apre proprio su un flashback della sua d’infanzia, quando mamma e papà partono in missione ed uno dei due non torna. La madre di Hope, Janet (Michelle Pfeiffer) resta intrappolata in un’altra dimensione (quantica, come tutto in Ant-Man and the Wasp) e da allora non se ne sa più nulla.

Scott (Paul Rudd) è quasi un comprimario: fa dei sogni che sembrano visioni, o viceversa, non senza ragione (capirete). Tutto ciò diventa una scusa, un pretesto per credere che Janet sia viva, ed allora Hank (Michael Douglas), riluttante, decide di aprirsi, sia ad un suo vecchio collega col quale si era lasciato molto male, sia a Scott, al quale rimprovera di aver usato indebitamente la tuta nel corso della rocambolesca vicenda alla quale si assiste in Civil War. Ma c’è una nuova minaccia; non un vero e proprio villain, bensì una sorta di fantasma che di tutta prima sembra al di là della portata, apparso dal nulla a scombinare i piani.

Così come abbiamo iniziato, senza giri di parole, questa iterazione di Ant-Man ci pare rappresenti un passo indietro anziché no. Significa forse che non ci sia nulla su cui aggrapparsi per amore di dargli un senso, trovare la sua ragion d’essere? Niente affatto. Ma chi ha apprezzato il primo per via di quell’impronta alla quale abbiamo fatto riferimento all’inizio, ovverosia uno humor di fondo che effettivamente non trova eguali nella inevitabilmente sempre più stantia proposta Marvel, qui si torna ad un format più affine al contesto, pur non dimentichi delle specificità di questo personaggio.

Per dire, Luis, il collega di Scott interpretato da Michael Peña, è sostanzialmente più che un nome di contorno, e lo si capisce anche perché in una delle fasi più riuscite e concitate del film (di qualcosa si vede nel trailer, ci mancherebbe) gli viene affidata non meno parte, durante un inseguimento in cui gli autori si divertono a giocare col discorso dell’ingrandire e rimpicciolire, una delle illusioni più quintessenzialmente legate a questo mezzo, per conseguenza facendo divertire pure noi. È in questi frangenti che Ant-Man and the Wasp assume spessore, nel senso di “esserci”, evitando la sfilata inutile, quella di un progetto messo in piedi giusto perché va fatto o si fa. Il resto, è bene dirlo, è pastrocchio quantico.

Come in parte già accennato, infatti, «quantico» è il leitmotiv di questo secondo capitolo. Si va nella dimensione quantica, fatta di cose quantiche, con sentimenti quantici e ricordi, manco a dirlo, quantici. Non vi è alcuna preoccupazione nel rendere vagamente credibile, scientificamente fondato, il ricorso a Quanti e affini. Nondimeno, serve un bel coraggio per sparare a zero su questa cosa… suvvia, ammesso che fosse lontanamente ammissibile, quanti di noi ci avrebbero capito granché a fronte di costruzioni articolate ed impianti scrupolosi in merito alla teoria? Eppure non siamo sicuri che questo continuo ricorso alla teoria sia volutamente così comica, cioè che si sia voluto reiterare l’argomento a quel modo cosicché noi spettatori dicessimo: «sai che c’è? l’avete ripetuto così tante volte e così goffamente che mi avete fatto sorridere, bravi». Ed in fin dei conti è un complimento il nostro, per via del fatto che riconosciamo a chi ci sta dietro una certa abilità nel soppesare certi elementi, che in fondo hanno fatto la fortuna della Marvel al cinema.

Come andare sulle montagne russe perciò, godere del panorama qualche istante prima della prossima discesa a picco, piccole cose come un piccolo palazzo che sta nel palmo di una mano e che, a comando, diventa appunto un palazzo vero e proprio, che poi è pure il laboratorio di Hank Pym. Ant-Man and the Wasp, è evidente, non vuole divincolarsi da formule ed esperimenti già rodati; è il classico blockbuster di quest’epoca, che guarda al (recente) passato, fatto di protagonisti straordinari con un occhio a quanto c’è di ordinario nelle loro esistenze, si veda il rapporto tra Scott e sua figlia, che narrativamente ha un peso specifico eppure si tratta di una luce che viene accesa e spenta subito, per poi riaccenderla sul finire, insomma quel tanto che basta per “umanizzare”, rendere ancora più accessibile un supereroe che non ha poteri, alle prese con quelle scelte sbagliate che oggi commettiamo in tanti, di tanto in tanto.

E siccome questo sembra bastare, resta da chiedersi fino a che punto la baracca possa reggere. Questo costante lasciarsi più di una porta aperta, infatti, già da tempo mostra segni di cedevolezza, un loop da serie TV applicato al cinema sulla cui entità tocca interrogarsi in maniera sempre più ragionata, al di là di prese di posizione aprioristiche ancorché fondate. Al momento la risposta sembra essere che, finché funziona, si tira avanti. D’altronde la macchina Marvel funziona davvero, ed è forse questo, paradossalmente, il suo più grande limite, croce e delizia di un impalcatura mastodontica, la cui conclamata ed innegabile efficienza sta finendo col travolgere ogni cosa.

Perché fino a quando si riesce a costruire giocattoli che riescono a garantire questo grado di intrattenimento, sfornando una commedia come Ant-Man and the Wasp, inondandola di CGI non fine a sé stessa, proprio alla luce di quanto evidenziato sopra, cioè l’aver trovato mediante gli effetti speciali la raison d’être di tutto l’ambaradan, beh, effettivamente perché premurarsi di curare con più attenzione altre componenti al fine di conseguire quel salto di cui a questo punto le produzioni Marvel hanno un disperato bisogno? Il più grande peccato sembra infatti l’aver “normalizzato” un processo di questo tipo, reso consuetudine che un film per lo più povero di contenuti sia così dannatamente divertente. Che poi quest’ultimo Ant-Man non è nemmeno così dannatamente divertente, ma è per rendere l’idea.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]

Ant-Man and the Wasp (USA, 2018), di Peyton Reed. Con Paul Rudd, Evangeline Lilly, Michael Peña, Walton Goggins, Bobby Cannavale, Judy Greer, T.I., David Dastmalchian, Hannah John-Kamen, Abby Ryder Fortson, Randall Park, Michelle Pfeiffer, Laurence Fishburne e Michael Douglas. Nelle nostre sale da martedì 14 agosto 2018.