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Cineblog Consiglia: C’era una volta in America

C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone. Con Robert De Niro, Elizabeth McGovern, James Woods, Treat Williams, Jennifer Connelly, Joe Pesci, Burt Young, Tuesday Weld.Stasera sabato 9 agosto su Rai3 ore 20.30.Si chiude stasera il ciclo che Rai3 ha dedicato ad uno dei grandi maestri del cinema nostrano, quel Sergio Leone passato alla

di mario
9 Agosto 2008 09:00

c'era una volta in america C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone. Con Robert De Niro, Elizabeth McGovern, James Woods, Treat Williams, Jennifer Connelly, Joe Pesci, Burt Young, Tuesday Weld.

Stasera sabato 9 agosto su Rai3 ore 20.30.

Si chiude stasera il ciclo che Rai3 ha dedicato ad uno dei grandi maestri del cinema nostrano, quel Sergio Leone passato alla storia come colui che forse per primo ha saputo destrutturare il genere western fino a riscriverne il mito. Già prima di mettere mano al suo ultimo western Giù la testa, però, Leone era al lavoro su una storia epica che si occupasse di riscrivere un altro mito stavolta, quello dell’America.

Nasce così, dopo una gestazione che dura più di dieci anni, quello che a mio parere è non solo il capolavoro personale del regista, ma il film più bello che quest’arte abbia mai saputo regalarci. La storia si muove su tre piani temporali, incastrati ed alternati in maniera magistrale, in modo da costruire un affresco vivo ed intenso, dove tutti gli estremi si toccano e convivono non senza lacerazioni: amore ed odio, tenerezza e violenza, speranze e disillusioni, attimi di felicità e momenti di acuto dolore.

Il primo piano temporale è rappresentato dagli anni ’20, quando quattro ragazzini (Noodles, Max, Patsy e Cockeye) si incontrano, si conoscono e crescono insieme nella povertà del Lower East Side di New York, vivendo di espedienti ed imparando la sacra arte della sopravvivenza. Il secondo ci porta negli anni ’30, quando, ormai cresciuti, i quattro si affermano come una banda di intreprendenti giovani gangster. Il terzo, che fa da motore all’intera struttura narrativa, è il 1968 (anno simbolico), quando Noodles torna a New York per riallacciare i fili della sua vicenda personale e fare i conti con il passato.

Noodles (uno strepitoso Robert De Niro) è il vero fulcro della storia. Attraverso i suoi occhi noi vediamo l’evolversi di un mondo, in quanto macrocosmo in cui avvenimenti sociali importanti si susseguono facendo sentire i loro effetti su un microcosmo di rapporti interpersonali che ne escono profondamente modificati. Lacerati, in qualche caso (la lunga fraterna amicizia con Max). Attraverso le scelte di Noodles noi viviamo ogni singolo episodio, vedendo dipanarsi una vicenda fatta di un susseguirsi di scelte sbagliate (l’intero rapporto con Deborah è una interminabile sequenza di errori), riscattate però da una presa di posizione morale finale che dona apparente pace alla tormenta di sentimenti di un personaggio che potremmo definire senza timore epico.

Forse qui più che in altre occasioni non ha senso alcuno tracciare ulteriori fili di trama: C’era una volta in America è un film che va vissuto quasi ad occhi chiusi, emozionandosi ad ogni singolo istante. Ogni inquadratura è perfetta, ed è perfettamente inserita in un flusso musicale che nasce dal ritmo e dalla storia narrata prima ancora che dalla colonna sonora.

E questo nulla toglie al lavoro imponente di composizione messo in atto da un Ennio Morricone al suo meglio, che, lavorando su pezzi suoi ed altrui, costruisce un’impalcatura sonora come mai si è vista al cinema, amalgamandosi al visivo fino a divenirne parte integrante ed imprescindibile (provate ad esempio a vedere la stupenda scena de “la porta del tempo”, nel video alla fine del post, con la celebre Cockeye’s song che lentamente si trasforma nella riproposizione in chiave sinfonica di Yesterday).

Tempo che passa, che si consuma, che lascia tracce nella memoria, tempo da redimere, tempo che forse non è mai esistito. Un discorso sul tempo: sulle potenzialità del tempo cinematografico, capace di comprimere la complessità di un vissuto in quasi quattro ore, e sulla fallacia del concetto di tempo reale. Perchè forse tutto ciò che abbiamo visto non è altro che un riflesso nel fumo, sogno di una mente appannata dall’oppio e dal dolore. Un interrogativo che ci accompagnerà sempre, a cui il regista non ha mai risposto.

Non l’unico interrogativo, comunque. Come si chiude il film? Una volta tanto la voglia di sapere ad ogni costo, di comporre perfettamente il puzzle, viene meno, fa un passo indietro e lascia spazio alla necessità di abbandonarsi al flusso di immagini, musica, sogni, memorie. La vita, in poche parole.

Voto Mario: 10 e lode