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Miracolo a Milano di Vittorio De Sica: considerazioni sulla proiezione milanese della versione restaurata

Lunedì scorso, ossia il 14 Febbraio, noi di Cineblog abbia avuto l’onore, nonché il piacere, di assistere alla versione restaurata di una delle pellicole più importanti del cinema nostrano. L’allusione è a Miracolo a Milano, film di Vittorio De Sica risalente al 1951, tratto dal libro di Cesare Zavattini – intitolato Totò il buono. Per

pubblicato 21 Febbraio 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 14:55

Lunedì scorso, ossia il 14 Febbraio, noi di Cineblog abbia avuto l’onore, nonché il piacere, di assistere alla versione restaurata di una delle pellicole più importanti del cinema nostrano. L’allusione è a Miracolo a Milano, film di Vittorio De Sica risalente al 1951, tratto dal libro di Cesare Zavattini – intitolato Totò il buono. Per l’occasione il nostro Vittorio apportò alcune modifiche in sede di trasposizione, specie in relazione al finale – ben diverso da quello pensato da Zavattini.

A presentare questa brillante “riesumazione”, con annesso restauro, c’era Manuel De Sica (figlio di Vittorio), che tanto si è adoperato e continua ad adoperarsi per valorizzare certi film senza tempo. Ci soffermeremo a breve sulla valenza del meritorio impegno in cui si sta profondendo Manuel, non prima però di menzionare chi altri sono intervenuti in occasione del breve incontro che si è tenuto nella rinomata Terrazza Martini.

Tra i presenti c’è stata anche la figlia di Vittorio De Sica, ossia Emi, un’amabile e anziana donna con cui è stato davvero un piacere scambiare quattro chiacchiere. Inoltre, non poteva certo mancare il presidente di SEA – Aeroporti Milano, Giuseppe Bonomi, alla cui azienda si deve il finanziamento di questa felicissima operazione.

Poco sopra abbiamo accennato riguardo l’impegno di Manuel De Sica, a cui si deve già il restauro di un’altro immenso film di suo padre, ossia Ladri di Biciclette. Miracolo a Milano segna quindi la seconda parte di un percorso che ci auguriamo abbia davanti a sé ancora un lunghissimo cammino. Ma è lo stesso fautore a metterci in guardia riguardo il futuro: “non sempre la nostra sensibilità ha trovato, o trova tuttora, degli altrettanto appassionati interlocutori“. Sono queste le parole, seppur tutt’altro che testuali, di Manuel, il quale da tempo va girando scuole medie e superiori al fine di sensibilizzare le generazioni più giovani circa il peso di questo tremendo patrimonio.

Non a caso sta già pensando, nonostante tutto, ai prossimi film che verranno sottoposti a restyling, ossia I bambini ci guardano (1943) e il ben più blasonato Sciuscià (1946), probabilmente in questo stesso ordine. Solo che in futuro, ci dice, spera di trovare favore presso lo Stato anziché cercare fondi da parte di privati. In ogni caso fa davvero piacere sapere che la promozione di pellicole così capitali proceda e non s’intenda arrestarlo proprio ora.

Tornando a Miracolo a Milano, è interessante riportare qualche aneddoto. Tanto per cominciare, in un primo momento il titolo sarebbe dovuto essere I poveri disturbano, che poi fu in secondo momento evidentemente accantonato. Non tutti, in un’epoca di neorealismo imperante, riuscirono a comprendere questo film, mentre altri fecero fatica a digerirlo. Da notare che si trattava del lavoro successivo di De Sica, nei panni di regista, dopo Ladri di biciclette, spaccato notoriamente celebre per la vena tristemente realista dell’Italia del dopoguerra.

Non volendo essere, per certi versi, “etichettato” come autore prevalentemente pessimista, Vittorio decise di lavorare su di una storia che si poneva agli antipodi rispetto al suo ultimo film. Optando per trama decisamente più edificante, come quella tratta dal libro dell’amico Zavattini, lasciò perplessi in molti. Alcuni arrivarono addirittura a credere, prima dell’uscita, che Miracolo a Milano fosse incentrato sulla figura di Sant’Ambrogio.

Tra qualche incertezza, però, il film uscì e, come spesso accaduto nella storia del nostro cinema, anche Miracolo a Milano riscosse molto più successo all’estero che qui da noi – nemo propheta in Patria, diceva Qualcuno. Tuttavia anche nel Bel Paese non mancarono coloro che ne rimasero piacevolmente colpiti, nonostante questi rappresentassero una minoranza, seppur incoraggiante.

Soffermiamoci un attimo, quindi, sulla trama – dato che a questo punto sembra correre l’obbligo per noi. Totò è un solare ragazzino rimasto orfano della madre/nonna adottiva, e che per questo motivo passa pressoché la sua intera adolescenza in un orfanotrofio. Cresciuto, si ritrova a dover affrontare il mondo senza conoscerne apparentemente le più basilari dinamiche. Il suo “spaesamento” è reso palese dai momenti immediatamente successivi alla sua uscita da quel luogo in cui ha trascorso buona parte della propria vita: saluta tutti; si comporta come se ognuno dei passanti fosse un suo amico.

In un modo o nell’altro, però, si troverà in un campo di senza-tetto. Lì comincerà a rimboccarsi le maniche, fino a dirigere (nel vero senso della parola) i lavori per la riqualificazione dell’area – come direbbero quelli che ne sanno in ambito edilizio. Ciò che colpisce, però, è sempre quel suo atteggiamento sognante, mai crucciato e costantemente disteso. Qualcosa che tende a superare l’umana concezione.

Non è un caso, infatti, se da molti verrà successivamente scambiato per un santo, anche in virtù dell’improvviso dono di elargire miracoli. E’ chiaro che di mezzo c’è molto altro, su cui non vogliamo soffermarci proprio per invogliare coloro che non avessero ancora visto questo film a rimediare quanto prima. Miracolo a Milano, di primo acchito, ha tante facce: quella religiosa, quella politica, quella sociale e via discorrendo. Ma se sul piano politico non mise d’accordo quelle che all’epoca erano le compagini principali, e su quello sociale poneva una questione di cui malvolentieri si voleva discutere, è sotto il primo aspetto che ci sembra di cogliere la chiave di lettura più corretta e appagante.

La refrattarietà nascente verso simili messaggi era ancora in fase embrionale probabilmente, ma già abbastanza solida da bollare e rigettare certe opere. Alludere ad episodi così “straordinari” come miracoli, promesse di Regni venturi et similia, era davvero troppo per un’impostazione che tendeva ad esaltare l’ordinarietà di tempi che, piaccia o meno, non raccontavano nulla di buono.

Eppure quella di Miracolo a Milano, a tutt’oggi, ci pare una sfida vinta sotto ogni aspetto. Nel suo mescolare realtà ed immaginazione riesce a vincere i pregiudizi di chi si sente troppo ancorato alla prima o alla seconda, fuggendo la banalità e quanto di smielato possa evocare uno scenario come quello proposto. Non ingenuo ma semplice; non ottimista ma speranzoso: questo è ciò a cui riuscì a dare vita il grande Vittorio. Ed in fondo il suo messaggio, preso certamente in prestito, sta tutto in quella sfilza di scope che svolazzano attorno ad un Duomo così fortemente reale, per poi scomparire dietro quelle nuvole. Ed ecco apparire una frase, la calligrafia tipica di un bambino (non a caso scritta dalla figlia Emi, allora alunna delle elementari): “verso un regno dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno!“.

E se per le orecchie dell’epoca tutto ciò era troppo, figurarsi per quelle con cui ci troviamo a convivere ai giorni nostri…