Home Notizie 28 dicembre 2013: 70° anniversario della morte dei 7 fratelli Cervi

28 dicembre 2013: 70° anniversario della morte dei 7 fratelli Cervi

Il 28 dicembre 1943 i sette figli di Alcide Cervi vennero trucidati dai fascisti: a settantanni dalla morte li ricordiamo con il film I sette fratelli Cervi, diretto da Gianni Puccini. Nel cast Gian Maria Volonté e Renzo Montagnani.

pubblicato 28 Dicembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 05:45

Sono trascorsi ormai settant’anni da quella nebbiosa mattina del 28 dicembre ’43, quando Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio e Ettore Cervi vennero condotti, assieme al loro compagno d’armi Quarto Camurri, al Poligono di Tiro di Reggio Emilia da un plotone di Camicie Nere. Vennero fucilati e da quel giorno furono per sempre uno dei simboli più indissolubili della Resistenza italiana e di quel terribile biennio di guerra civile che insanguinò l’Italia fino alla Liberazione.

Il più vecchio dei sette, Gelindo, aveva 42 anni, il più giovane, Ettore, solo 22: erano stati catturati poco più di un mese prima durante un rastrellamento compiuto dai militi fascisti e volto a sgominare la cosiddetta Banda Cervi, uno dei primi nuclei partigiani della zona, della quale facevano parte, oltre ai fratelli, anche alcuni ex prigionieri russi e britannici. Erano i primi mesi della Resistenza e i figli di Alcide, prima mezzadro poi affittuario emiliano pervaso di idee socialiste fin dall’infanzia, non potevano restare a guardare: la loro lotta fu breve ma intensa e la loro morte ne fece dei martiri, dei simboli tuttora attuali non solo per il contesto storico in cui combatterono ma per tutti coloro che anelano alla libertà come bene più importante per l’essere umano.

Il cinema italiano non poteva rimanere indifferente a una storia così toccante e nel 1968 il regista Gianni Puccini girò il capolavoro della sua carriera, I sette fratelli Cervi. Puccini, nato nel 1914, era un raffinato sceneggiatore e a aveva lavorato con Visconti e De Santis, prima di passare dietro la macchina da presa e girare gradevoli commedie tipiche degli anni ’50, come Parola di ladro e Il marito, con Alberto Sordi. Al termine della carriera (il regista serebbe porto pochi mesi dopo la fine delle riprese), decise di impegnarsi con una storia così complessa, raccontando la vita della famiglia Cervi e dipingendo un affresco paragonabile al posteriore Novecento di Bertolucci.

Puccini non racconta solo la storia di un eccidio, ma mette in luce un intero mondo contadino, una società patriarcale evoluta, in cui il padre è alla guida del clan ma in cui tutti contribuiscono alla crescita della famiglia con le proprie idee. I lunghi flashback raccontano spezzoni di vita della famiglia, la crescita dei figli tra tradizione e ideali progressisti, in un piccolo mondo antico sull’orlo della catastrofe portata dalla guerra. Protagonista un immenso Gian Maria Volonté, passato dalla Trilogia del Dollaro di Leone a uno dei suoi primi ruoli indimenticabili, nei panni di Aldo, il più irruento dei fratelli. Al suo fianco un allora giovane Renzo Montagnani, divenuto poi famoso grazie alle commedie sexy degli anni ’70, il cantautore Don Backy (pseudonimo di Aldo Caponi), ma soprattutto Carla Gravina, una delle maggiori interpreti del cinema italiano degli anni ’60 e ’70.

Il film fu ingiustamente boicottato dalla censura, pur essendo scevro da toni retorici o melodrammatici: il più grande merito di Puccini, ma anche il maggior difetto del film, è di aver descritto con grande realismo la vita quotidiana dell’Emilia pre-bellica, ma forse di non aver messo abbastanza pathos nel dramma, spogliandolo dei toni banalmente commoventi e cercando di rivestirlo di una semplice eroica dignità. Ma l’immagine migliore riguardante i sette fratelli Cervi è stata descritta dal vecchio Alcide, che ai funerali solenni dei figli, celebrati a guerra finita, disse:

“Mi hanno sempre detto tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta… la figura è bella e qualche volta piango… Ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo.”