Home Curiosità Dimmi cosa guardi e ti dirò chi sei: appunti sparsi su The Avengers ed altro ancora

Dimmi cosa guardi e ti dirò chi sei: appunti sparsi su The Avengers ed altro ancora

Cosa ci dice il successo di The Avengers? Meno di quello che ci dicono certi detrattori. Quando i gusti al Cinema diventano tiranni

pubblicato 1 Maggio 2012 aggiornato 1 Agosto 2020 01:46


In questi giorni, con una veemenza vieppiù urtante – tanto le sue radici, ammesso che ve ne siano, paiono sterili -, si sta riproponendo l’annoso teatrino che affligge pressoché ogni attività abbastanza diffusa. Nel Cinema, come in altri settori (vedi la Letteratura), è in voga lo scriteriato malcostume di soppesare i gusti altrui a suon di etichette o slogan ad effetto. E’ un po’ il malessere (perché di questo si tratta) che Nick Hornby ben evidenziava nel suo Una vita da lettore, seppur implicitamente.

Cito a memoria:”c’è gente che non definirebbe nemmeno ‘lettura’ quella de Il Codice da Vinci di Dan Brown“, rilevando in tono sarcastico, “se qualche sedicente ‘lettore colto’ incrociasse qualcuno intento a darsi a libracci del genere, quest’ultimo verrebbe guardato con malcelato disgusto; al meglio, con pietà“. Il periodo sarà anche stato scritto diversamente, ma il senso è decisamente questo. Ma di che si tratta? Snobismo? Saccenteria? Ignoranza? Mancata comprensione?

L’idea è che un simile fenomeno sia questo e molto altro, e che spesso sia riscontrabile senza allontanarsi troppo dalle propria mura domestiche. Quante volte, in tutta onestà, vi è capitato di “giudicare” qualcuno perché entusiasta di un’opera (quale che sia) che voi stimavate poco o nulla? Chi vi scrive, per esempio, non vedeva di buon occhio non tanto i libri di Dan Brown, quanto l’alone di “scopritore d’acqua calda” che si era guadagnato grazie ad una compiaciuta ignoranza di chi ha sempre delegato ad altri certe questioni. Per alcuni (forse molti) scoprire che nell’Ultima Cena di Leonardo fosse possibile scorgere la sagoma di una vagina era pressoché sufficiente, o quantomeno rilevante, per dubitare circa il celibato del Cristo, con annessi e connessi (sì, c’era pure il Santo Graal di mezzo).

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Quando Brown non poté più giocare sull’equivoco, perché di questo si trattava, quasi tutti i boccaloni indossarono la maschera dei furbi, di quelli a cui non la si fa: “Ma chi, io? Figurati se ho mai creduto che fosse storicamente fondato! Come romanzo, però, è affascinante, non puoi mica negarlo. E poi, l’importante è che non creda manco tu a quanto dice la Chiesa“. Gli esperti la definirebbero dissonanza cognitiva: colto “in fallo”, l’individuo accampa scuse, nel bislacco tentativo di “rimediare” a quella che avverte come una magra figura. Poco male, chi più chi meno, ci siamo cascati tutti.

Il problema, però, sta nell’autenticità delle nostre adesioni. Non sarebbe bastato dire, così, che la lettura de Il Codice Da Vinci avesse rappresentato una piacevole lettura… e al diavolo tutto il resto? Dinanzi a siffatte dissimulazioni si ergono schieramenti apparentemente agli antipodi, tuttavia accomunati dalla medesima irragionevolezza. Eppure la semplice constatazione della realtà dei fatti, del guardarsi distrattamente attorno, dovrebbe suggerirci che il mondo gira in tutt’altro modo.

Il caso The Avengers (perché è un caso, anche se non il primo e nemmeno l’ultimo) funge da esempio quasi perfetto. Anche il meno addentro a questo settore riesce facilmente a immaginare quanta e quale sia l’avversione, all’interno di una certa branca della cinefilia più cocciuta e dissennata, verso certe produzioni. Per quest’ultimi una pellicola come The Avengers nasce sotto i peggiori auspici: è tratta da un fumetto, espressione di una certa cultura definita tutt’al più bassa; sono stati spesi fior di quattrini, in piena contravvenzione al verbo del “cinema serio”, molto più austero ed infondato di quello espresso dal famoso Dogma 95; viene da Hollywood; c’è troppa confusione; nessuno si fa veramente male, etc. Ma su tutti, il crimine peggiore di certi film resta uno ed uno soltanto: rischia di mettere d’accordo praticamente tutti i cosiddetti spettatori-medi. Orrore!

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Già Chesterton, per usare un eufemismo, storceva il naso dinanzi a questa sorta di sgangherato elitarismo aristocratico – che di entrambe le definizioni si guarda bene dal cogliere le implicazioni più sane, che eppure in esse sono contenute. Altri, meno accortamente, ricorrono a frasi fatte che altro non denotano se non una qual certa soggezione nei confronti dei membri del gruppo sopracitato: “se si stacca il cervello è un buon film“, o cose simili. Di grazia, ma che diavolo significa? So che i portavoce di siffatta congerie di inutili nonsense non intendono alla lettera quanto dicono, fin qui ci arrivo anch’io. Ma allora, se non sono (siamo) troppo indiscreto/i, qualcuno potrebbe prendersi la briga di spiegarci?

Perché se io fossi il regista di un film riguardo cui si dicono certe cose, non saprei neanche se sarebbe il caso di offendersi o meno. Che ci vuole ad esclamare: “mi è piaciuto“, proseguendo con le motivazioni anziché giustificare questa legittima affermazione con incidentali riportanti solo riserve, frutto di insicurezza? Forse che siamo troppo seri per assumerci dinanzi agli altri la responsabilità di ciò che diciamo anche in relazione ai nostri gusti, per giunta in un ambito dove la diversa sensibilità è una virtù e non un vizio?

Il Cinema, ringraziando il cielo, ha sempre dimostrato di essere più grande di noi che lo guardiamo, superando le nostre piccinerie. Anche e soprattutto in questo è Arte per definizione: necessita dell’artista, senza restare imbrigliato nella sua limitatezza. Vale per il Cinema, s’intende, non per ogni film. E no, non c’è alcuna vena di snobismo in quanto appena sottolineato, perché l’Arte risiede nel mezzo espressivo in sé, non in ogni opera che è frutto di tale mezzo. Ma qui aprirei una voragine speculativa, quindi meglio tagliar corto.

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Tuttavia l’incertezza permane. Perché un tipo di intrattenimento ha più diritto di essere definito Cinema a scapito di un altro? Ma soprattutto, perché una cosa deve necessariamente escludere l’altra? Non voglio estremizzare come fa certa Arte Moderna e Contemporanea: non basta riprendere con una telecamera una scampagnata tra amici, per quanto divertente, chiamarlo Cinema e pretendere che lo sia davvero. Eppure un simile format, se così possiamo definirlo, sta sempre più prendendo piede, e fenomeni come Paranormal Activity o chi per lui sono a mala pena alcuni dei più timidi esempi.

Ciò che intendo dire è che una delle maggiori ricchezze di questo medium risiede proprio nella sua profonda e reale democraticità. Nel Cinema e al Cinema c’è davvero posto per tutti! Nessun volemose bene, anzi. Nel momento in cui una sola delle fazioni che abitano questa meravigliosa quanto utopica Repubblica, comincia a credere di essere “più cittadina” di tutte le altre, emergono i primi scompensi. Scompensi che toccano più aspetti, anche di ordine psicologico a quanto pare.

Tempo addietro una redattrice del New York Times segnalò lo studio di due psicologi, ampiamente esposto nel libro The Invisible Gorilla. Per farla breve, la sagace redattrice si serve di questo lavoro per dimostrare come anche in ambito cinematografico sia fondamentale la valenza dei modelli. Nell’articolo si allude alla cosiddetta “difficoltà” di certi film, ma noi ci serviamo solo di alcuni interessanti spunti in esso riscontrati. In altre parole, tendiamo a farci coinvolgere o meno da un film a seconda dell’adesione di quest’ultimo a modelli a noi familiari.

the_avengers_poster_2 Tesi, a quanto mi pare di capire, corroborata da David Bordwell, per il quale l’acquisizione di modelli cognitivi gioca un ruolo determinante ai fini delle nostre preferenze. Viene citato il caso di The Tree of Life, che il sottoscritto ritiene abbastanza calzante. Per chi è talmente intriso di schemi grossomodo “classici”, tentare di dare un significato a certe sequenze apparentemente sconnesse rappresenta un compito fastidioso. Ricordo che al tempo della sua uscita, ci fu gente che, in maniera del tutto comprensibile, lamentò l’assenza di una trama tradizionalmente intesa. Ed è un po’ la stessa cosa che avvenne all’epoca di 2001 Odissea nello Spazio, quando lo stesso Kubrick ebbe modo di spiegare il motivo per cui i giovani lo avessero apprezzato esponenzialmente di più degli anziani: i primi facevano parte di una generazione maggiormente abituata alle immagini, a differenza dei secondi. Come potete arguire da voi, anche Kubrick evoca il concetto di modelli. Non ci sono giudizi: per chi identifica il Cinema tout court con il Cinema di narrazione, tanto 2001 quanto The Tree of Life altro non sono che una pretenziosa accozzaglia di immagini disomogenee.

Niente di male, l’importante è che una legittima sensazione non venga spacciata per un giudizio, per quanto soggettivo. Si voli più basso e, come nel caso de Il Codice Da Vinci, ci si limiti ad un semplice “non mi è piaciuto“, con tanto di motivazioni a seguito, se lo desidera. Stesso dicasi per un film come The Avengers. Trattasi di un altro tipo di intrattenimento, che può e forse deve coesistere con tutti gli altri. Ciò che ci induce fuori strada, probabilmente, è considerare film come questi esclusivamente nell’ambito del genere fumettistico. Il che non è sbagliato, anche perché si tratta della categoria più immediata.

Proviamo, però, a farlo rientrare in quella tipologia di produzioni che non sentono l’impellente necessità di trasmettere messaggi alti (se non che, in caso di invasione aliena, o Stephen Hawking indossa un’armatura d’acciaio oppure sono c***i); che intendono appagare per quello che si vede e non per ciò a cui rimandano (doppi sensi ed equivoci esclusi); che si giocano tutto sulla componente “caramella per gli occhi” e su nomi più o meno blasonati, e via discorrendo. Inquadriamolo così, dopodiché traiamo qualche conclusione. Ma poi.

L’impressione è che l’esistenza stessa di certi film disturbi alcuni. Il che è peggio di vituperarli. Allo stesso modo, certuni sbuffano dinanzi all’ennesimo film di Hong Sang-soo, come se questo mettesse a repentaglio il Cinema stesso. Eppure nemmeno il peggiore degli Horror ha impedito alla più grande delle Commedie di sorgere. Spero di essermi in qualche modo spiegato. Se anche al Cinema ci si approccia con certi pregiudizi di illogica esclusione, forse è meglio rivedere questo rapporto, perché giunti a questo punto è divenuto perverso.

the_Avengers_poster333 E’ tipico dell’uomo gettare acqua al proprio mulino, ma anche una simile pratica richiede abilità. E chi in questi giorni va schiaffando in faccia ai detrattori di The Avengers i dati registrati al botteghino non opera certo in maniera tanto diversa da coloro che intende “contraddire” con certi numeri. E’ sintomo di appiattimento, tipica di ogni epoca, corroborare le proprie tesi (che così personali in fondo non sono) con il semplice sentire comune. Nella critica cinematografica, a tutti i livelli, questo si traduce spesso con la cruda menzione di incassi e voti.

Diciamo invece, servendoci di un linguaggio meno contorto, che praticamente ogni componente di The Avengers è soppesata in maniera quantomeno intelligente. Questa produzione doveva rispettare dei canoni, fronteggiare dei compromessi, e c’è riuscita forse nel migliore dei modi. Tanto potrebbe dire un accanito lettore di comics sull’utilizzo di un determinato supereroe o di un altro ancora, ma penso di non esporre un’eresia evidenziando come i modelli a cui è abituato vengono riadattati al contesto cinematografico in maniera probabilmente mai così efficace. E se anche così non fosse, bisognava davvero aspettare altri cinquant’anni prima di farlo? Lasciamo stare i Batman di Nolan, perché quello non è un semplice riadattamento bensì una vera e propria rivisitazione, operazione ben diversa.

Chi vi scrive dubita che certe dinamiche possano cambiare radicalmente. Non si aspetta di leggere già da domani uscite inattaccabili, tanto sono ragionevoli. Ma se anche nel Cinema tendiamo ad azzerare le differenze anziché esaltarle, a farlo crollare in preda ad un’asfissia che non gli appartiene, domandiamoci se davvero ciò non sia dettato da qualcosa di diverso, magari opposto, all’amore per questa forma d’Arte. Shakespeare è Shakespeare non perché fosse semplicemente “bravo a scrivere”, ma perché nelle sue opere non mancava nulla, nulla taceva di ciò che più gli interessava: l’uomo. Aveva delle idee, è chiaro, ma le celava dietro la sua universalità. Era universale, dunque, il che è l’esatto contrario di codardo. Così come può e deve essere il Cinema, nonostante tutte le pagine di cui si vorrebbe facesse a meno.