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Boston – Caccia all’uomo: recensione in anteprima

Come in Deepwater Horizon, Peter Berg imbocca in sentiero giusto e con Boston – Caccia all’uomo riesce ricostruire un evento così recente attraverso un thriller se non altro solido

pubblicato 7 Aprile 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 00:29

15 aprile 2013. È il Patriot’s Day, giorno importante per la città di Boston. Giorno in cui si tiene una maratona cittadina, bersaglio perfetto per chi una ricorrenza del genere intende sabotarla nel più violento dei modi. In quel giorno, erano quasi le tre del pomeriggio, due ordigni fatti in casa esplodono a distanza di pochi metri e pochi secondi l’uno dall’altro: Boston – Caccia all’uomo ricostruisce i successivi quattro giorni, in cui un’intera città, o per meglio dire comunità, si bloccò per individuare e catturare i responsabili.

Peter Berg ha oramai accumulato una serie di pellicole che affondano nell’attualità del suo paese, formando se vogliamo una sorta di trilogia che ha inizio con Lone Survivor e termina (per ora) con questo suo ultimo lavoro, passando per Deepwater Horizon. Alla luce di film precedenti possiamo perciò intuire cosa aspettarci: Berg non si è mai interessato ad approfondire più di tanto il tema centrale dei suoi film, buttandola perciò sulla politica o sulla denuncia. No, gli eventi che di volta in volta ha trattato costituiscono l’incipit per costruirci sopra un thriller più o meno riuscito, più o meno teso, disseminando qua e là qualche indizio in merito alle implicazioni, che però si limitano in ogni caso a fare da sfondo all’azione.

Boston – Caccia all’uomo rappresenta il primo tentativo di distanziarsi da un simile approccio, anche solo un po’. C’entra il fatto che la ferita è ancora aperta, che il girare nelle medesime ambientazioni in cui si sono svolti i fatti avrà in qualche modo funto da catarsi, e che, malgrado siano trascorsi quattro anni (tre rispetto alle riprese), viviamo ancora immersi in quell’atmosfera lì, abituati in modo del tutto macabro a notizie di attentati di ogni tipo. I protagonisti del film però non sono i terroristi, malgrado non venga taciuta o anche solo passata in sordina la matrice islamica delle presunte rivendicazioni; al centro vi è lo spirito americano, di cui Boston è l’esaltazione.

Dice tutto, pur sfociando nella didascalia, un monologo del personaggio interpretato Mark Wahlberg, che sul finire manifesta ad un collega poliziotto il proprio stato d’animo con parole a suo modo sincere, ossia che l’unico modo per fronteggiare chi vuole farci del male è ricorrere all’amore, in altre parole dare il buon esempio; inutile stanarli, rinchiuderli, tanto per ognuno di questi figuri che viene neutralizzato ce ne sono almeno altri due pronti a portare a termine il lavoro. In questo passaggio c’è parecchio del cinema di Berg, così per come viene fuori nei suoi ultimi film per l’appunto, ovvero la semplificazione dal retrogusto dolciastro di processi ben più complessi pur soffermandosi su discorsi ancora in divenire: musica per le orecchie di certi produttori dell’assolata Hollywood.

Ecco allora che tocca rivolgersi non tanto ai contenuti, che sono quelli che sono né possono essere diversamente, cioè, come già evidenziato, mossi da un intento celebrativo di per sé neutrale; meglio quindi esaminare la struttura, il ritmo, i toni. Che sono quelli di un thriller molto asciutto, macchina costantemente a mano, montaggio che cerca di tenere desta l’attenzione evitando però di ubriacarci: qualcuno la definirebbe, sotto tale aspetto, «operazione competente». D’altra parte Berg questo è, ossia un regista di mestiere che si sta perfezionando film dopo film, senza anelare ad appiccicarsi addosso uno stile quale che sia, ed il cui leitmotiv, se ve n’è uno, sta proprio in questo suo attingere a personaggi che incarnano un certo tipo di americanismo, eroico dunque altruistico, idealizzato, modello di santità civile perciò laica a cavallo tra la fine di un secolo e l’inizio di un altro.

Storie per certi aspetti edificanti, in cui della gente cosiddetta ordinaria viene calata in contesti estremi, sia essa una guerra (ed allora è un soldato, meno “ordinario”), l’esplosione di una piattaforma petrolifera o un attentato terroristico. Servendosi di quello che è l’attore feticcio di Berg, ossia Wahlberg, il quale ha probabilmente trovato il proprio elemento in questi ruoli da padre di famiglia che rischia la vita per gli altri mosso dai sentimenti più nobili di umanità e civiltà. Come già accennato, una visione se non distorta certamente parziale della verità, tanto che a chi obiettasse che i lavori di Berg andrebbero collocati al confine con la propaganda forse starebbe esagerando, seppure tale appunto non sia del tutto infondato.

D’altro canto Hollywood ha sempre flirtato con questo genere di cose; i maligni arrivano addirittura a sostenere che l’industria dorata esista solo per questo. Chi scrive non lo pensa, però è evidente che produzioni come queste si pongano da sole in questi termini rispetto allo spettatore. Una precisazione, quella appena esposta, che mi pare opportuno sottoporre, per poi tornare a bomba su quanto ha da offrire Boston – Caccia all’uomo su altri fronti. Anche perché ci aiuta a capire come mai e fino a che punto Berg abbia recuperato certa tradizione, assemblando un’opera dagli echi classici, quello dei grandi thriller d’inchiesta à la The Insider di Mann, per dirne uno, cineasta al quale Berg per l’appunto s’ispira parecchio proprio in relazione al film con Al Pacino e Russell Crowe.

Pattern che si ripetono in forma diversa proprio per filtrare il tutto attraverso misure familiari, cosicché lo spettatore non debba fare troppi sforzi per venire agganciato. Ci sta. Malgrado tale trattamento, tuttavia, il film un po’ cede quando parte la caccia vera e propria, con una lunga sparatoria che un po’ spezza il ritmo, risolvendosi in una specie di campo/controcampo in salsa action, perciò tendenzialmente noiosetto. Nulla da ridire su quanto visto sino a quel momento, motivo per cui viene da pensare che si sarebbe potuto contenere il tutto in meno di due ore, pure coprendo le cento ore che sono trascorse dalle esplosioni a quando gli autori degli attentati sono stati presi.

Poco male, Boston – Caccia all’uomo resta un buono spaccato di quei concitati momenti, che, se paga qualcosa, lo fa probabilmente in termini di tempistica, arrivando prima del dovuto. Quanto al patriottismo, fin lì non si spinge, restando nell’alveo di un più pacato ed accessibile senso del dovere che trova la sua ragion d’essere in certi valori condivisi, e questo è in fondo ciò che lo salva da questo punto di vista. Sarebbe di conseguenza incorretto porlo sullo stesso piano di altre opere di tenore analogo, senza contare che va registrato questo ulteriore miglioramento da parte di Peter Berg, che gira il suo film migliore, sicuramente rispetto all’ultima parte della sua carriera. Per la serie che anche i più allergici a certo trionfalismo a stelle e strisce, per quanto ben camuffato, possono senz’altro fare un giro sulla giostra senza rischiare di far fondo a dosi massicce di antistaminico.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6.5″ layout=”left”]

Boston – Caccia all’uomo (Patriot’s Day, USA, 2016) di Peter Berg. Con Mark Wahlberg, Michelle Monaghan, John Goodman, J. K. Simmons, Kevin Bacon, Alex Wolff, Rachel Brosnahan, Erica McDermott, Vincent Curatola, James Colby, Cliff Moylan, Melissa Benoist e Michael Beach. Nelle nostre sale da giovedì 20 aprile 2017.