Home Festival di Cannes Cannes 2017: tra film e contese, cosa aspettarsi dal primo Festival dell’era Netflix

Cannes 2017: tra film e contese, cosa aspettarsi dal primo Festival dell’era Netflix

Festival di Cannes 2017: sebbene Netflix ed altri siano in giro da più tempo, è questo il primo Festival che prende ufficialmente coscienza della questione. Blogo sarà a Cannes per raccontarvi il tutto, per tutto il tempo

pubblicato 15 Maggio 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 06:18

Ci siamo: due giorni appena e la settantesima edizione del Festival di Cannes aprirà i battenti in via ufficiale. Anche quest’anno, per il settimo consecutivo, Blogo sarà per voi in quel della Croisette per parlarvene, essenzialmente attraverso commenti e recensioni. Un’edizione particolare quella del 2017, in cui per la prima volta si è già assistito allo scontro frontale tra un’istituzione come il Festival e un colosso come Netflix, per quella che è una sfida significativa al di là delle compagini, dato che in ballo c’è molto più di un semplice dissidio tra chi preferisce la distribuzione tradizionale ad altri canali più recenti o viceversa.

Cannes per la prima volta, e a quanto pare suo malgrado, dato che sono stati gli esercenti francesi a fare per primi la voce grossa, si è trovata nella non più rinviabile situazione di dover prendere una posizione grossomodo ufficiale rispetto alla sempre più capillare diffusione di servizi streaming e on demand. Attualmente la risposta è che no, la sala è sacra e se non si partecipa ai riti del tempio si è fuori dalla religione; un feedback politicamente necessario, forse addirittura logico per certi versi, ma su cui consentiteci di dubitare alla lunga. Il punto è che un vero e proprio dibattito, per così dire, non c’è stato: da una parte e dall’altra ci si è trincerati dietro le rispettive posizioni. Come leggere infatti la risposta di Reed Hastings se non come un “cogliere la palla al balzo”?

Il CEO di Netflix non si è lasciato infatti sfuggire quest’opportunità per intavolare d’emblée un «noi contro loro», in buona sostanza forzando i termini della discussione ed invocando l’immancabile establishment che vuole tarpare loro le ali (come se fosse davvero possibile poi…). È evidente, invece, che il problema c’è e che il Festival più importante al mondo era tenuto a rispondere, possibilmente non in modo paraculesco; e la risposta più sensata, al momento, non poteva che essere quella che ha diramato tramite comunicato ufficiale. D’altro canto sia The Meyerowitz Stories che Okja per questa volta restano dove sono, a contendersi nientepopodimeno che la Palma d’Oro.

Resta il fatto che quest’estemporaneo botta e risposta rappresenta la prima tappa di un percorso lungo il quale ci si dovrà per forza e seriamente chiedere se e come i nuovi metodi di distribuzione siano compatibili con l’assetto tradizionale dei Festival in generale; nel caso, fino a che punto certe dinamiche siano assimilabili senza snaturare più di tanto la loro ragion d’essere, la cui portata è storica e sin qui troppo rilevante per rivoluzionare tutto senza avere ponderato per bene (e possibilmente con le teste giuste).

Chiusa parentesi, e dato che per il momento viviamo in un tempo in cui le cose funzionano grossomodo come sempre, dedichiamoci ai film. Ce n’è parecchi che sono finiti sotto il nostro radar, come sempre in questo periodo dell’anno nel sud della Francia. Ve ne segnaliamo alcuni, non necessariamente i più importanti (anche se in alcuni casi lo sono pure) bensì quelli che più attendiamo, e che per certi versi giustificano il prender parte ad una manifestazione di tale portata.

Se in Concorso certi titoli quasi s’impongono da sé, altri sono per lo più speranze più o meno motivate. Allora è inutile dire, quanto alla prima categoria, che si aspetti al varco Happy End di Michael Haneke, dramma familiare ambientato in una Calais che deve confrontarsi con la crisi europea degli immigrati; You Were Never Really Here di Lynne Ramsay, in cui il tentativo di un veterano di guerra per salvare una giovane dal traffico sessuale finisce male; Wonderstruck di Todd Haynes, particolare progetto che si svolge in due epoche, ossia 1927 e 1977; The Killing of a Sacred Deer di Yorgos Lanthimos, su un chirurgo che familiarizza con un giovane apprendista; Loveless di Andrey Zvyagintsev, su un marito e una moglie che, in piena fase di divorzio, devono affrontare la scomparsa del figlio; e certamente Okja di Bong Joon-ho, incentrato sul rapporto tra una ragazza ed una strana creatura che scappano da una multinazionale.

Come dicevamo, però, ce ne sono degli altri, sempre in Concorso, su cui se non altro ci pare opportuno scommettere. Su tutti quello che c’incuriosisce di più all’interno di questa improvvisata categoria è Good Time dei fratelli Safdie, crime movie con Robert Pattinson, il Barkhad Abdi di Captain Phillips e Jennifer Jason Leigh. Altro titolo interessante è The Square di Ruben Östlund, aggiunto all’ultimo e che a Cannes torna dopo il successo di Force Majeure nel 2014. Restiamo in sospeso per i vari Ozon, Hong Sang-soo, Coppola e Hazanavicius, così come per Noah Baumbach.

Un Certain Regard per quanto ci riguarda, sulla carta, a ‘sto giro significa Kiyoshi Kurosawa, Laurent Cantet e il debutto dietro la macchina da presa di Taylor Sheridan. Fuori Concorso invece prendiamo tutto, atipico rispetto agli ultimi anni, senza nemmeno una grande produzione hollywoodiana, quindi Miike, Varda, Desplechin, Polanski e Mitchell. Menzione a parte sia per Twin Peaks, i cui due episodi della nuova stagione rappresentano un evento di per sé, sia per CARNE y ARENA, progetto sperimentale in virtual reality di Alejandro González Iñárritu ed Emmanuel Lubezki su cui pare si stia glissando con troppa leggerezza mentre invece c’è da stare con gli occhi sgranati.

Viene da mangiarsi le mani se si pensa invece a quanto ancora una volta la Quinzaine des Réalisateurs abbia al proprio arco frecce di assoluto spessore. Ci proveremo, ve l’assicuriamo, ma coprire quantomeno tutti quelli che andrebbero coperti rappresenterà un’impresa. Ovviamente i “nostri” li abbiamo già individuati; italiani a parte (quest’anno sono tre in questa sezione), c’è The Florida Project di Sean Baker, Alive in France di Abel Ferrara, Jeannette di Bruno Dumont e Let the Sunshine In di Claire Denis. In Semaine de la Critique, va da sé, siamo molto curiosi circa il secondo film del duo palermitano Grassadonia-Piazza, che dopo aver sbancato nel 2013 con Salvo, quest’anno direttamente aprono la sezione con Sicilian Ghost Story.

Insomma, questo, a Dio piacendo, sarà il nostro Festival. Ovviamente non ci precludiamo nulla, perciò, come sempre, ben vengano novità, sorprese e quant’altro, anche perché uno ci va anzitutto per questo, non per essere “confortato” in ciò che già tendenzialmente potrebbe conoscere e/o sapere. Non ci resta che darvi appuntamento a mercoledì 17 maggio, a partire da cui, fino a domenica 28 maggio, vi racconteremo Cannes come ci piace e sappiamo fare.

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