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Comedians, recensione del film di Gabriele Salvatores

Tre decenni dopo Kamikazen, Gabriele Salvatores torna a far rivivere il testo di Trevor Griffiths, ma Comedians è una rivisitazione piuttosto incolore

9 Giugno 2021 21:56

A prima vista, sotto la scorza di una vicenda agrodolce, in cui sei persone fanno il possibile per riscattarsi, ovviamente ciascuno per motivi diversi, Comedians sembrerebbe vertere su un interrogativo che di tanto in tanto fa capolino, ossia la funzione del comico. L’arte del far ridere, le scorciatoie e i compromessi di una disciplina in continua evoluzione, quintessenzialmente legata agli sviluppi di una comunità, la quale mai come oggi appare così estesa e soverchiante.

Affermare che tutto ciò, o almeno una parte, di quanto appena evidenziato non vi sia, non corrisponde a verità; eppure la forza del testo su cui Gabriele Salvatores ritorna a distanza di trentacinque anni consente di andare oltre, di integrare qualcosina a una dinamica onnipresente, in ogni decennio, in ogni secolo, a prescindere dal contesto. È sufficiente tale premessa a dare un senso a questa ulteriore lettura? Per Salvatores evidentemente sì, visto e considerato peraltro che, banalmente, la persona che lui è adesso almeno in qualcosa è diversa da quella che era da giovane.

Dall’ultimo lavoro del regista partenopeo emerge, sebbene con un vigore alquanto contenuto, questo desiderio d’interrogarsi, o semplicemente di dire. In fondo Comedians è un progetto figlio del proprio tempo in misura maggiore rispetto ad altri suoi film; di solito ad incidere sono le stagioni della vita, l’accumulo di esperienze e riflessioni, mentre a ‘sto giro a fare la differenza più che mai sono le condizioni date, i limiti imposti dalla contingenza pandemica, che spinge a prendere in considerazione scenari che, in altri momenti, sarebbero rimasti lì dov’erano senza troppo pensarci.

Potrebbe significare poco, o addirittura risultare pedante il tacciare questo rifacimento (o rilettura, come l’abbiamo definito sopra) di Kamikazen – Ultima notte a Milano (1985), tratto dalla pièce di Trevor Griffiths, troppo “teatrale”. Il cinema però è anzitutto affare di modi, modalità; più racconto che storia, forse addirittura, orrore (!), più forma che contenuto. E che Salvatores abbia ancora qualcosa da dire rispetto a questo testo, che ripeto, risulta brillante a tutt’oggi, non c’è motivo di dubitarne. Ma se questo diverso modo di guardare alle suggestioni contemplate nell’opera di Griffiths segnala qualcosa, ebbene, tutto ciò lo si ritrova nella consapevolezza che al momento, in questa fase di transizione che pare non finire mai, i tempi non siano ancora maturi per affrontare il discorso in maniera adeguata.

Tendo a credere che non sia un limite del solo Salvatores, per quanto non sia da escludere che il percorso del regista di origini partenopee non preveda a questo punto che debba essere lui a farsi carico di un simile fardello. Quale? Quello appunto di capire non soltanto come ma addirittura se sia possibile, a fronte di una cultura così fagocitante ed esclusiva come quella in cui stiamo macerando, trovare spazio per far sorridere. Non intendo essere tranchant e squalificare ogni cosa, esasperando una situazione che sicuramente è complicata ma non irrecuperabile; nondimeno, viene da credere che ogni tentativo di disciplinare un’Arte del genere denunci l’impossibilità di sublimare certe tare culturali, che, mai come in questi momenti di massima tensione, necessitano di essere superate.

Per questo Comedians, più che caustico appare funereo, più che riflessivo appare sconsolato, più che drammatico appare tragico. Vetusto è l’approccio, come lo sono certe battute, non tanto per via del loro essere imperniate su luoghi comuni consolidati che, in quanto tali, quasi mai sono pure e semplici menzogne, bensì tutt’al più distorsioni o esagerazioni di verità fino a un certo momento condivise, rispetto alle quali ogni epoca si relaziona in maniera diversa e quasi mai, ahinoi, equilibrata.

Questi sei aspiranti attori, già comici, non importa se di professione, ci vengono presentati come persone, senonché sono deboli persino come maschere. Guardando, per esempio, al personaggio di Giulio Pranno, il giovane e giovanilistico Zappa, si riesce a mio parere già ad inquadrare la portata di Comedians: tutto in lui è modulato su una frequenza diversa, operazione che, a prescindere dall’aderenza alla fonte originale, si motiva con lo scarto generazionale, la necessità, forse, di voler raccontare le nuove generazioni, la loro consapevolezza pur nello smarrimento nel quale si trovano. Quasi ogni aspetto in Giulio Zappa, tuttavia, è eccessivo, non per via di ciò che dice ma di come lo dice, il suo doversi imporre, tipico di chi è più giovane e ritiene di aver scoperto qualcosa che altri non sanno. Com’è come non è, è questo il personaggio meno credibile, al quale si lascia persino una sorta di chiosa, quasi una morale. Sugli altri invece non è opportuno esporsi, approntando un identikit che non segnala segni particolari: c’è il meridionale un po’ timido e rustico, l’immobiliarista brillante, la faccia da schiaffi e via discorrendo. Diverso il discorso per Eddie Barni (Natalino Balasso), un ruolo delicato, una specie di narratore involontario, che conduce i giochi se vogliamo, ma dal quale non si può certo pretendere che riesca a colmare, con la sua seppur intrigante disillusione, la modesta portata dell’argomentare.

Comedians tende perciò a più riprese a risolversi su un ragionare a vuoto, mancando del tutto di quella corrosività che questioni del genere debbono suscitare, pena il non andare da nessuna parte. Intriso di una seriosità che non viene in nessun caso meno, si fatica a cavare qualcosa da portarsi via a fronte di questi sei ritratti abbozzati, così concepiti poiché, coi loro profili, le loro vicende personali, debbono assolvere a qualcosa che va ben oltre, permettendoci, sulla carta, di sondare il terreno di un territorio ben più ampio. Questo non succede, trattandosi al contrario di un livello proprio precluso a questa ricostruzione, il cui discorso non è indagine ma rimuginare. Presupposto che cozza con l’ambizione di sottolineare qualcosa di rilevante.

Comedians (Italia, 2021) di Gabriele Salvatores. Con Alessandro Besentini, Francesco Villa, Natalino Balasso, Marco Bonadei, Walter Leonardi, Giulio Pranno, Vincenzo Zampa, Christian De Sica e Demetra Bellina. Nelle nostre sale da giovedì 10 giugno 2021.