Home Giffoni Film Festival Giffoni 53: gli incontri del regista Sydney Sibilia e dell’attore Paolo Ruffini con i Giffoner +18 (video)

Giffoni 53: gli incontri del regista Sydney Sibilia e dell’attore Paolo Ruffini con i Giffoner +18 (video)

Dal Giffoni 53 gli incontri con i giffoner +18 di Sydney Sibilia, il regista di Mixed by Erry ha ricevuto il Giffoni Award, e dell’attore Paolo Ruffini.

pubblicato 25 Luglio 2023 aggiornato 9 Maggio 2024 15:13

C’è molto orgoglio, quello di un ragazzo che proprio da Giffoni ha mosso i primi passi, soprattutto nella conoscenza e nella scoperta del cinema, e che oggi è un registra affermatissimo. In Sala Verde i ragazzi del Workshop +18 di Giffoni 53 hanno incontrato Sidney Sibilia, reduce dal grandissimo successo di “Mixed by Erry”, voce originalissima della nostra cinematografia, erede di quella commedia all’italiana amata in tutto il mondo.
Sibilia è salernitano. Giffoni lo ha frequentato da bambino: “Sono stato qua – ha detto – che avevo forse sette anni. Ma le cose che ho visto me le sono come tatuate. Le storie mi hanno sempre incantato ed il cinema, se sei di Salerno come me, potevi e puoi incontrarlo solo qua. Se faccio questo lavoro è perché qui mi innamoravo delle storie e di chi le raccontava”.

Il legame con Giffoni lo sottolinea anche il fondatore Claudio Gubitosi che arriva in sala per salutarlo: “Non potevo non esserci – ha detto – ci tenevo ad abbracciarti. Tu sei uno di quei salernitani di cui siamo orgogliosi. Qui oggi hai la possibilità di incontrare davvero la nostra migliore gioventù”. E le domande, tantissime, che i ragazzi di “Giffoni 53” rivolgono a Sibilia lo confermano: puntuali, ricche di contenuti, mai superficiali. Indagano la produzione di Sibilia provano a trovarne significati, i meno immediati. In molti chiedono consigli su come fare per arrivare alle grandi produzioni, riconoscendo in lui un modello da seguire perché il successo non è esploso così all’improvviso. Sibilai ha fatto la gavetta, quella dei cortometraggi, per poi affacciarsi con successo al mainstream. Poi il coraggio di chi dalla platea gli si avvicina e gli consegna una pennetta. Dentro c’è una sceneggiatura oppure un corto già realizzato. Sidney ne è entusiasta: “Stasera – dice – leggerò tutto e guaderò tutto e poi vi rispondo. Quello che sento di dirvi è di fare le cose. Non aspettate che qualcuno vi giudichi, voi fate. Qualcosa accade sempre”.

Lo sliding doors di Sidney Sibilia avviene a Pastena, quartiere di Salerno Est. Dopo due anni trascorsi a risparmiare per riuscire a comprarsi finalmente il motorino, Sibilia si lascia abbagliare da una telecamera che vede in un negozio di elettrodomestici. La compra ed è da quel momento che tutto ha inizio. “Ho cominciato a fare il regista – ha detto – senza saperlo. Costringevo i miei amici a stare davanti all’obiettivo ma loro non sapevano cosa dovevano fare. Ho scoperto l’importanza della sceneggiatura ed ho iniziato a scrivere. Avevo 16 anni. Ho fatto due film. Il primo è venuto malissimo, il secondo un po’ meglio. Poi qualcuno mi ha detto che potevo fare cose anche più brevi…” Sibilia inizia a realizzare cortometraggi. Ne farà tanti, sono una palestra importantissima.

Dalla sala gli sollecitano la riflessione: nelle tue storie è sempre molto labile il confine tra legalità ed illegalità, come te lo spieghi? “Approccio in maniera molto sincera alle storie – dice – e a volte capisco che c’è un minimo comune denominatore, ma non è mai una cosa studiata. Tendenzialmente sono storie di anarchia perché sono stato sempre un po’ restio rispetto alle regole. Ma la cosa più importante resta la sincerità. Se sei sincero, arriva al pubbico”.

La curiosità è per “Mixed by Erry” che consacra Sibilia: “Avevo queste cassette a casa – ha spiegato – poi ho compreso che tutti ne avevano. E mi sono chiesto se non ci fosse una storia da raccontare. Abbiamo deciso di contattare Enrico Frattasio. Al primo incontro è venuto con i suoi fratelli. E ho scoperto che c’era una storia bellissima da raccontare. E che potenzialmente poteva venir fuori un film importante. Dentro c’ho messo del mio perché ogni cosa che scrivi risente delle cose che vedi, dei libri che leggi. La Forcella in cui è ambientato somiglia alla Salerno degli anni ’80. Il linguaggio ricorda quello della Smorfia di Troisi, Arena e Decaro. Ma tutto è avvenuto in maniera inconscia”. La realtà ha superato l’immaginazione, quello di fare un prodotto riuscito, ed il film è amatissimo ed apprezzato dal pubblico.

In principio c’è la scrittura. Ribadisce Sibilia. E quando si scrive la fantasia non ha limiti. Con “L’incredibile storia dell’isola delle rose”, Sibilia ha dovuto fare i conti con la realizzabilità dell’idea. “Eravamo in fase di scrittura – ha raccontato – e a metà ci siamo detti che questo film non era fattibile in Italia. La seconda parte l’abbiamo scritta proprio con la libertà di chi sa che quel film non avrebbe mai visto la luce”. Ma la vita può stupire e così è successo: “Ci chiama Netflix – ha raccontato – ci invitano a cena. Dicono che il film lo possono fare, lo vogliono fare. Perché avevano appena aperto una sezione con soggetti non anglosassoni e ad altissimo budget”. Parte così la produzione: imponente, faticosa, costosa. Il film si gira tra Malta, Bologna e con una buona dose di effetti speciali: “Abbiamo girato – ha detto – con un approccio americano e quell’esperienza per me ha significato fare una specie di master universitario sul cinema americano”.

Al centro c’è la figura del regista, il ruolo: “Io – ha risposto Sibilia ad una domanda dei ragazzi – lo faccio a modo mio. Una definizione non esiste. Non ho mai fatto una scuola di cinema. Non ho mai fatto l’assistente. Il primo set che ho visto in vita mai è stato il mio. L’ho fatto seguendo una specie di istinto”.  In cosa è impegnato oggi Sidney Sibilia? “Sto lavorando – ha spiegato – ad una serie dedicata agli 883. Stiamo rappresentando la Pavia degli anni ’90 in una versione nostra. Tutto dipende molto dalla storia, che ha una dimensione molto italiana perché io sono italiano, mi sento italiano e non saprei fare diversamente. Noi abbiamo avuto la fortuna di inventarci la commedia all’italiana, film apparentemente leggeri, che fanno ridere ma non solo. A questo genere spesso mi ispiro”.

Quanto conta il talento? Molto, ma non è tutto, ne è convinto Sibilia: “Il talento – dice – è una parte, Poi c’è la costanza, il rigore. Sedersi al computer ogni giorno. Senza saltarne uno. E poi saper gestire l’umore perché ci sono giorni che scrivi grandi cose e giorni che non scrivi niente. Devi essere innamorato delle cose che fai e mettersi costanza. Ci sono persone di grandissimo talento che non riescono ad avere costanza e rigore”.
Un omaggio in sala con l’esibizione al clarinetto del Valzer n.2 di Shostakovich eseguito dal giovane Giorgio Tedesco e la consegna del Giffoni Award che Sibilia stringe tra le mani con orgoglio, mostrando proprio quella sincerità che mette nei suoi film e che è autentica e che lo fa amare dal pubblico.

Mattatore. Paolo Ruffini tiene tutti incollati alla sua conversazione brillante, e alle poltrone della Sala Verde della Multimedia Valley, durante il workshop in programma nella quarta giornata del festival. Il regista, attore e produttore italiano si sottopone con irriverente ironia riflessiva e con dovizia di competenza al fuoco amico dei giffoner della sezione+18. Le domande sono tante. Attraversano il mondo della celluloide con un moto di interrogazione a trecentosessanta gradi. Le sue risposte vanno sempre al punto. Punto per punto chiudendo il cerchio del ragionamento e aprendo nuovi fronti di confronto. Spettacolo nello spettacolo a Giffoni 53.

“Sono a tutti gli effetti uno spettatore professionista di cinema” esordisce Ruffini. “Amo la dilatazione orizzontale dell’immagine perché consente di ammirarla perdendosi dentro. Oggi, complice alcune specifiche piattaforme social, ci stiamo abituando al taglio verticale che sottrae contenuti allo sguardo. Ma noi, tutti noi, giovani e adulti, dobbiamo continuare non solo a guardare ma anche a pensare e a sognare orizzontale”. Questo perché “ognuno di noi, pensateci bene, sogna in orizzontale. Perciò il cinema è un grande, meraviglioso sogno a occhi aperti”. Dal teatro alla radio, dal grande al piccolo schermo: Ruffini ha prestato la propria opera professionale a strumenti e linguaggi di comunicazione differenti. Sempre con riconosciuta gentilezza e delicatezza autoriale anche quando si è dedicato a tematiche sociali delicate, come ad esempio il bullismo nella pellicola Il Ragazzaccio presentata proprio a Giffoni lo scorso anno.

“Non ho risposte eroiche per spiegarlo” chiarisce subito. “Mi muove semplicemente la curiosità. Sviluppo i temi senza fare il figo sul piano autoriale e senza mettere il coperchio sulla emotività. Mi piace fare ridere e piangere il pubblico. Lo ritengo un dovere”. Secondo il poliedrico artista classe 1978 il cinema, per dirla con Truffaut, è “una notizia che non finisce mai”. Come il teatro, d’altronde: “Non so se tra cento anni ci sarà ancora Tik Tok. So per certo che ci sarà il teatro,  autentico metaverso della realtà”. Ruffini afferma di voler aggiungere “un po’ di fantasia” al cinema italiano perché “tende a preferire il già noto, la strada già battuta, il remake di un film straniero, alle idee originali. Non c’è voglia di sbagliare” taglia corto per poi ironizzare sulla mancanza di buone maniere nella società contemporanea: “Vorrei fare un film di fantascienza in cui le perone sono gentili.”

Resto sempre profondamente stupito quando qualcuno lo è senza conoscerti”. Dalla vita reale a quella sul set: “Il narcisismo può creare conflitti tra produttore e regista come tra quest’ultimo e gli attori” annota. “Bisogna avere la capacità di fare un passo laterale. È come in una storia d’amore: l’eccessiva proiezione egoica rischia di rovinarla”. Le riflessioni filosofiche si alternano ai giudizi  tranchant. Soprattutto nel caso del politicamente corretto: “Il cinema è arte e l’arte non è politicamente corretta. Se fosse così, oggi non potremmo ammirare e studiare i capolavaori di Pasolini, pellicole come  Ultimo tango a Parigi e nemmeno i film di Fantozzi. Siamo alla follia. L’arte è libertà”. Il tempo passa e l’attenzione resta alta.

Siamo ai titoli di coda. Al gran finale qui al “Giffoni 53”. Ruffini si alza in piedi e, un attimo prima di salutare i giurati stringendo mani e firmando autografi,  dichiara amore eterno al festival: “Giffoni è gentilezza, sorrisi, abbracci. A chi soffre di ansia e di infelicità posso solo consigliare di venirci: in questo posto ti senti bene e ti torna la fiducia nel genere umano”.

Fonte: Giffoni 53

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