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La Grande Bellezza: le recensioni dagli Usa e dall’Italia

Sorrentino non vince a Cannes 2013, ma la critica cosa pensa del film? Scopriamolo insieme

di carla
pubblicato 27 Maggio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 14:11

E così La Grande Bellezza non ha vinto nessun premio al Festival di Cannes 2013 (ecco tutti i premiati) ma dopo aver letto la nostra entusiastica recensione dalla Francia è giusto dare un’occhiata ai pensieri dei critici Americani e Italiani. E voi cosa ne pensate? Vi è piaciuto?

Kevin Jagernauth – The Playlist: Proprio come Fellini, La Grande Bellezza scarica su di noi una serie di scene, visages, sensazioni e impressioni, e anche se in questo caso non lo fa in un insieme coerente, è comunque un viaggio che vale la pena intraprendere…

Robbie Collin – Daily Telegraph: Quando i titoli di coda hanno cominciato comparire, alcuni critici si sono alzati in piedi e fissavano in silenzio lo schermo. Sono felice di ammettere che ero in mezzo a loro.

Peter Bradshaw – Guardian [UK]: Questo film è cinema puro couture. Ma c’è anche un eccesso di ricchezza e di magniloquenza e per tutta la sua lucentezza ho sentito che la scintilla di emozione era stata nascosta, e non vi è una sorta di frustrazione nella tristezza operistica.

Shaun Munro – Film School Rejects: La regia di Sorrentino è nitida come non lo è mai stata, raccontando uno dei suoi racconti più facilmente riconoscibili.

Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa: (…) pur ricco di citazioni-omaggio al capolavoro del maestro riminese La grande bellezza sta a La dolce vita come la Via Veneto di oggi sta alla Via Veneto del 1959 (…) Ci sono anche feste esagitate e cafone, cardinali che parlano di alta cultura, loschi maghi del lifting: ma restano grotteschi frammenti di un puzzle che non arriva a comporsi in disegno unitario. Colpa di un’Italia allo sprofondo e senza più identità; colpa anche di una sceneggiatura che sotto l’aspetto di concertare significative scene di gruppo si presenta debole (…)

Stenio Solinas – il Giornale: Film per certi versi lugubre, una sorta di sermone funebre sulla decadenza di Roma (e dell’Italia), La grande bellezza racconta, con una luce cinematografica, bellissima (opera di Franco Bigazzi) e degli attori esemplari (…) la morte della speranza, la dissipazione del talento che l’accompagna, l’angoscia esistenziale di chi si trova ad assistere a un finale di partita. “L’occasione mancata”ha preso definitivamente il posto della “bella giornata”e per chi il passato, non avendolo vissuto, non è più in grado di ricordarlo, o avendone fatto parte può solo rimpiangerlo, il futuro è solo una morte a credito.

Paolo Mereghetti – Il corriere della sera: Prima o poi i conti con Roma toccano a tutti: a chi ci è nato, a chi ci si è trasferito, a chi ha sempre cercato di evitarla. Sorrentino, che nella capitale è andato ad abitare con la famiglia da non molti anni, aveva spesso ambientato i suoi film altrove: a Napoli, in Svizzera, a Sabaudia, addirittura negli States. C’era stato Il divo, naturalmente, ma lì Roma entrava di rimbalzo, quasi controvoglia. Adesso, a 43 anni (li compie alla fine di maggio), deve aver pensato che fosse arrivato il momento giusto. E infatti il titolo-omaggio ( La grande bellezza ) si materializza proprio dietro il panorama dei tetti cittadini, vago come una specie di miraggio. Che sia difficile da afferrare – la bellezza ma anche la città – lo dirà verso la fine del film il protagonista, con una di quelle frasi che risuonano come eco di situazioni già viste e che il regista (autore anche della sceneggiatura con Umberto Contarello) usa con incontrollata frequenza, finendo per mortificare un po’ quella magia visiva che a tratti sa regalare. Perché il nodo di un film ambizioso e misterioso insieme, a volte affascinante nella sua visionarietà, è proprio questo, di un dialogo fin troppo ricercato nella sua letterarietà e che finisce per apparire ridondante e persino sentenzioso. Come se lo sceneggiatore non fosse al servizio del regista ma in gara con lui, alla ricerca di un attestato di bravura doppia (scritta e visiva) che però fatica ad arrivare (…) Ecco, nonostante gli sforzi del Sorrentino regista (e degli attori, tra cui vanno ricordati almeno Iaia Forte, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Isabella Ferrari e Robert Herlitzka), il Sorrentino sceneggiatore dà l’impressione di voler percorrere una strada diversa, fatta di troppe citazioni letterarie (Celine, Flaubert due volte, Bellow, Dostoevskij e ne dimentico) e di facili giochini (Romona, Roman, Roma… Era proprio necessario?) alla fine dei quali ti sembra di ritrovarti al punto di partenza, senza aver capito molto della bellezza (e della bruttezza) di Roma.

Gloria Satta – Il Messaggero: Nel travolgente e imperfetto La grande bellezza tutto ha due facce e due velocità, come se la duplicità fosse la chiave a volte un po’ scoperta del lavoro di Sorrentino, della città che esplora e reinventa sulla scia di Fellini (più Fellini Roma che La dolce vita ). E naturalmente del suo protagonista jep Gambardella: un Toni Servillo ancora più barocco e molteplice di tutto il resto, giornalista mondano e scrittore di un solo romanzo, schifato del mondo e di sé ma ancora curioso e capace di stupore.

Alberto Crespi – l’Unità: La grande bellezza va visto. Ci stiamo ancora interrogando sulla sua vera natura, che sfugge a una definizione precisa almeno dopo una sola visione: Diciamo subito che è visivamente magnifico, a tratti fin troppo: Sorrentino fa fare le capriole alla macchina da presa e Luca Bigazzi “firma” ogni inquadratura da presa manco fosse Storaro, e ogni tanto si sente quasi la voglia di un’immmagine trovata, non troppo studiata, alla Rossellini (…) Gli attori sono tutti magnifici, il film ha momenti di toccante lirismo (…) La grande bellezza è la visione onirica di un regista che si cala nella volgarità contemporanea cercando disperatamente un riscatto che lasci intravedere una salvezza.

Natalia Aspesi – la Repubblica: Con La grande bellezza (…) Paolo Sorrentino sembra voler convincere che sì, quella che racconta è davvero “una Babilonia disperata” nel cuore oscuro e invidiato della capitale: e sembra riuscirci con la forza delle immagini e i virtuosismi visivi (di Luca Bigazzi), con il montaggio implacabile (di Cristiano Travaglioli), la colonna sonora (di Lele Marchitelli), che stordisce con la disco music e incanta con la musica sacra, una sceneggiatura (di Sorrentino, che è un vero scrittore, e Umberto Contarello) veloce e crudele. Non è più il tempo, 1960, della Roma di La dolce vita di Fellini, con il suo ormai perduto paradiso di confusione e peccato, né quello, 1980, della Roma di La terrazza di Scola, in cui politica e cultura erano già un pretesto di vite intaccate da indifferenza e corruzione. Ma La grande bellezza, 53 anni dopo Fellini e 33 dopo Scola, è altro, e all’inizio del film l’autore lo spiega con l’esergo tratto da Viaggio al termine della notte di Céline: «Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco, la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato… ».

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