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Revenant – Redivivo di Alejandro González Iñárritu: Recensione in Anteprima

Leonardo DICaprio prenota il primo Oscar della propria inimitabile carriera grazie al viscerale Revenant – Redivivo di Alejandro González Iñárritu.

pubblicato 14 Gennaio 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 09:42

Ci sono film, nel corso di una stagione cinematografica, che lasciano il segno per svariati motivi. Nel caso di Revenant – Redivivo, attesissimo ritorno al cinema di Alejandro González Iñárritu dopo i 3 Oscar vinti con Birdman (film, regia e sceneggiatura), questi motivi si accavallano a tal punto da rimanere impressi, probabilmente per anni ed anni. Non solo la presenza di Leonardo DiCaprio, miglior 40enne su piazza ormai ossessionato da quella statuetta che l’Academy gli ha inspiegabilmente sempre negato, e la paradisiaca fotografia al naturale di Emmanuel Lubezki, alla caccia del 3° Oscar consecutivo, ma anche un’epica e sfiancate produzione trascinata per circa 9 mesi, in condizioni atmosferiche insostenibili e con un budget lievitato dai 60 milioni iniziali ai 135 finali. Tutto questo per dar vita alla leggendaria storia di Hugh Glass, esploratore e cacciatore di pellicce che nel 1822 intraprese un viaggio di tremila miglia, attraverso le condizioni più estreme, sopravvivendo ai pericoli e alle minacce della natura e degli uomini, mosso unicamente dalla più incrollabile delle volontà: quella di un uomo che cerca la sua vendetta.

Ingredienti accattivanti resi ancor più straordinari dalla sbalorditiva regia di un Inarritu che ha fatto suo un posto nella storia del cinema contemporaneo. Perché Revenant è un’opera stupefacente, e non solo per i motivi sopra elencati. Liberamente ispirato allo splendido nonché omonimo libro di Michael Punke, perché Inarritu e Mark L. Smith hanno abbondantemente romanzato il tutto, aggiungendo personaggi (il figlio di Glass) e svolte narrative inesistenti all’interno del libro edito in Italia da Einaudi, Revenant è fondato su sentimenti basilari, tanto antichi quanto ancora oggi contemporanei. L’amore paterno, la sete di denaro e potere; l’uomo, nudo e solo, contro la forza della natura; l’odio, la violenza, il tradimento, la menzogna, la resistenza, la rinascita, la fame di vendetta. Un film sulla sopravvivenza ambientato in un’altra epoca, in quei territori impervi in cui trapper e Sioux si ammazzavano l’uno con l’altro.

Glass, qui cacciatore che si è integrato con i nativi tanto dall’avere un figlio con un’indiana, viene aggredito da un gigantesco orso. L’animale lo riduce in condizioni pietose. I compagni sono certi che gli resti poco da vivere, con il Capitano della spedizione che lascia al suo fianco, per medicarlo e seppellirlo una volta morto, due uomini: John Fitzgerald e Jim Bridger. Peccato che il primo, subdolo delinquente, prima ammazzi suo figlio e poi convinca l’altro compagno d’avventure che non c’è altro tempo da perdere. Un gruppo di guerrieri indiani è sulle loro tracce, dice lui. Glass va abbandonato. E così fanno, credendo che non possa in alcun modo sopravvivere. D’altronde l’uomo ha la schiena lacerata, le gambe rotte, il cranio spaccato, la gola perforata. Non riesce a parlare, a mangiare, a bere, a camminare. Ha la febbre altissima. Non può alzarsi in piedi ma solo strisciare. Sembrerebbe la fine per lui e invece è solo l’inizio. Perché spinto dalla voglia di vendetta, Glass da’ vita ad un’epocale odissea che ha fatto la storia.

145 minuti nella natura selvaggia, quella vera, pericolosa, sudicia e incontaminata, che trasuda gelo, paura e sangue, illuminata da una fotografia celestiale nella sua autenticità. 2 ore e mezza di film percorse da scene grandiose, che più e più volte lasciano sbigottito chi osserva, sin da quei primissimi minuti di battaglia tra cacciatori di pellicce e indiani. Era dai tempi dello spilberghiano sbarco in Normandia che non vedevamo al cinema uno scontro bellico tanto cruento e credibile, tra frecce che trafiggono teste, fucilate a bruciapelo, cavalli abbattuti, coltellate, asce impazzite e alberi in fiamme. Un incipit da brividi che Inarritu dirige come se fosse un coreografo, danzando tra morti e sopravvissuti. Tra questi spicca lui, un mastodontico Leonardo DiCaprio che per oltre metà film non dice una parola, perché impossibilitato a parlare. Recitazione corporea, fatta di sguardi e piccoli gesti, grugniti e spasmi. L’ennesima prova del più grande attore della propria generazione, e non solo, che in più scene durante la lavorazione ha rischiato l’ipotermia, accettando l’impossibile pur di raggiungere quella perfezione recitativa che l’Academy, almeno quest’anno, dovrà finalmente celebrare. Un DiCaprio sbranato da un gigantesco Grizzly in uno dei momenti più angoscianti, cinematograficamente parlando, degli ultimi 12 mesi. Un piano-sequenza apparentemente impossibile in cui Inarritu da’ vita all’assalto di un furibondo orso al suo protagonista, senza mai staccare la macchina da presa dal volto che trasuda terrore e dolore di Leonardo. Il perché Revenant concorra persino per l’Oscar agli effetti speciali risiede tutto in questi 5 minuti, onestamente spaventosi. Perché non si capisce come siano riusciti a realizzarli. Magie della settima arte.

Lasciato a morire in una fossa e successivamente costretto a dormire all’interno della carcassa di un cavallo ancora ‘caldo’ pur di non crepare di freddo, DiCaprio farà di tutto per trovare uno spaventoso Tom Hardy. Sporco, con mezza testa scuoiata dagli indiani, sbiascicante e infame, il suo detestabile John Fitzgerald è l’antagonista perfetto. La quintessenza del villain hollywoodiano, del farabutto con il volto ricoperto di cicatrici tipico dei western anni 50′ e ’60. Ed Hardy, poliedrico come altri pochi attori su piazza, l’ha degnamente rappresentato, concedendosi uno scontro finale girato in un unico piano-sequenza da pelle d’oca. Attorno a questi due uomini, ricoperti di sangue, rabbia e ferite, la natura incontaminata del 1822, che Inarritu ha voluto fotografare senza alcun tipo di luce artificiale. Va da se’ che Lubezki si sia letteralmente superato nel ricercare ‘la volontà di Dio’ attraverso la natura, realizzando un affresco, un’ode alla purezza della vita. Eppure non è tutto oro quel che luccica, perché il regista messicano prova ad andare oltre la semplice storia di vendetta attraverso visioni ‘mistiche’ che travolgono il sofferente DiCaprio, tra sogno, ricordi e subconscio. Esagerando. Flash improvvisi e forzatamente ‘simbolici’ più volte ripetuti che oscillano costantemente tra il biblico e il kitsch involontario, allungando visibilmente la durata di un film che sarebbe probabilmente dovuto rimanere sulla strada della brutalità dura e pura, madre dell’uomo.

Un’opera viscerale e travolgente, grandiosa dal punto di vista tecnico e memorabile in ambito produttivo, imperfetta e innegabilmente ‘scarna’ tanto nell’evoluzione quanto nella caratterizzazione della sua trama, ma visivamente parlando epocale. E non è forse un caso se due tra i migliori film usciti in sala negli ultimi 12 mesi, Mad Max: Fury Road e Revenant, siano nati da sceneggiature così essenziali nel brandire tòpoi tanto abusati. Una fuga da una parte, la caccia ad un uomo dall’altra e poco altro. Nel mezzo, il Cinema. Quello che ci piace chiamare Settima Arte.

[rating title=”Voto di Federico” value=”8.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”4″ layout=”left”]

Revenant – Redivivo (Usa, 2016, drammatico, western) di Alejandro González Iñárritu; con Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Will Poulter, Domhnall Gleeson, Brad Carter, Paul Anderson, Lukas Haas, Brendan Fletcher, Kristoffer Joner, Dave Burchill, Kory Grim, Joshua Burge, Robert Moloney, Vincent Leclerc, Christopher Rosamond, McCaleb Burnett, Grace Dove, Forrest Goodluck, Melaw Nakehk’o, Duane Howard – uscita sabato 16 gennaio 2016.