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The Humbling: Recensione in Anteprima del film con Al Pacino

Barry Levinson si rifà del discutibile The Bay con questa trasposizione cinematografica del romanzo di Philip Roth. The Humbling porta peraltro un brillante Al Pacino alle prese con l’instabilità di un ex-attore di successo

pubblicato 30 Agosto 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 22:43

Il palcoscenico come metafora della vita. Esatto, la Mostra si è aperta proprio su queste note, con un Birdman teatrino dell’assurdo ma anche esaltazione di quel processo che conduce l’attore a calarsi nel personaggio, che nella vita si traduce quasi banalmente nel trovare il proprio posto.

The Humbling è mosso dalla medesima tensione, fatta confluire nel personaggio di Simon Axler, un Al Pacino trascinatore come non accadeva da tempo. Le sue molteplici maschere si fanno esse stesse messaggio, mentre l’oramai anziano attore va perdendo sempre più il controllo, finché quella che si crea è una vera e propria realtà alternativa, che compete solo ed esclusivamente la sua mente provata. E se da un lato va senz’altro riconosciuto l’enorme contributo di Philip Roth, autore dell’omonimo romanzo da cui è tratto il film, sarebbe ingeneroso, oltre che falso, non corrispondere il dovuto a Barry Levinson.

La sua è una rappresentazione dalla grazia inusuale, anche quando si parla di dilatatori anali e dildo. Senza mai perdere la bussola, così come la smarrisce il suo protagonista, The Humbling unisce elementi apparentemente inconciliabili. In primis sul fronte del genere, dati gli spontanei e naturalissimi avvicendamenti, laddove comici, laddove melodrammatici. Ma in realtà non ci si accorge nemmeno di questi passaggi, perché è come se il film mantenesse il medesimo aplomb per la sua intera durata, mentre scorrono in parallelo la vita e le visioni di Simon, a tratti adorabile come può esserlo solo un vecchietto, altre simpatico come può invece esserlo solo un artista disilluso.

Va dunque senz’altro ricercato nel testo quel costante velo di sarcasmo che abbraccia in toto le vicende del film, che anziché fare “entra ed esci” da una dimensione all’altra, si limita a mostrare ciò che sta avvenendo come se si rimanesse all’interno di un medesimo ambiente che muta con gentilezza i propri connotati senza farsi notare. Al netto di tutta una serie di episodi grotteschi, per certi versi il discorso di Levinson è pure più incisivo rispetto a quello di Iñárritu; se proprio dovessimo, oseremmo richiamare in questa sede il parallelo con un’altra opera dal retrogusto analogo, quel Sils Maria che alla fin fine si attarda sulle medesime inquietudini. Nel film di Assayas a dare consistenza è l’elegante ambiguità attraverso cui si sviluppa il rapporto tra Maria e Valentine; in The Humbling c’è un vero e proprio mattatore, le cui anomalie non eccedono mai nei toni, mantenendosi su binari sempre accettabili.

Entrambi però, anche se ciascuno a proprio modo, ribaltano l’idea classica del «lavoro dell’attore su sé stesso», tanto cara a Stanislavskij, perché, quale che sia la strada da percorrere, bisogna essere in due, l’uno a reggere l’altro, reciprocamente o meno. La musa di Simon è Peegen (Greta Gerwig), una giovane molto intraprendente, che a dispetto del proprio orientamento sessuale (è lesbica) si innamora di Simon, più vecchio di lei di oltre quarant’anni. Parecchie sono le cose che non quadrano ad Axler, ma da buon attore qual è ritiene di non doversene preoccupare, calandosi nella parte dell’amante su con gli anni che scopre per la prima volta l’amore in terza età. Peccato che il suo vero nome non sia amore bensì ossessione.

A ben pensarci è questa lucida follia del diretto interessato a conferire a The Humbling quell’aria così specifica e al tempo stesso ineffabile. All’inizio del film Alex decide di trascorrere un soggiorno presso una struttura psichiatrica; dopo trenta giorni ne esce, tendendosi però in contatto con uno psichiatra tramite Skype. Qui Levinson alterna abilmente le video-consulenze con gli eventi del racconto, limitando al minimo le interferenze/sovrapposizioni.

Più che della sua profondità, o della sua intensità, bisogna insomma godere della leggiadria di quest’opera, a partire da quanto riescono ad offrire anzitutto Al Pacino, ma anche la brava Gerwig; due che a tratti sembrano quasi calcare un po’ troppo la mano, ma in contesto di questo tipo si tratta di derive accettabili. Meno esuberante di Birdman, The Humbling colpisce di soppiatto, ed anche quando l’attacco è frontale non è certo da meno quanto a ilarità rispetto al film mostrato in apertura. Il personaggio di Sybil Van Buren, tanto per dirne una, è geniale, così come riuscita è la sua gestione: trattasi di un’invasata che, dal primo incontro con Simon, intende convincere quest’ultimo ad uccidere il marito. Una traccia che di tanto in tanto ritorna, ogni volta più coraggiosamente rispetto alla precedente; tanto che, da un certo punto in avanti, Axler ha notizie dell’inquietante Sybil solo attraverso i media.

Il finale, non meno sarcastico, non costituisce certo il punto di forza di un film che, se ha lasciato indifferente già in precedenza, non può certo risollevarsi all’ultimo minuto: ecco perché la sua maggior virtù potrebbe per alcuni agevolmente capovolgersi nel suo maggior difetto. Ad ogni buon conto, restano comunque scene azzeccate come quella che si svolge presso lo studio di un veterinario o un’altra in cui, sotto le coperte, a Pegeen non resta che ricorrere a un vibratore per via delle défaillance del sempre più confuso Simon («posso esserti utile in qualche modo?»). Tuttavia anche situazioni così stravaganti risentono di quell’atmosfera che, come già accennato, contraddistingue questo insolito, piacevole The Humbling.

Voto di Antonio: 7,5

The Humbling (USA, 2014) di Barry Levinson. Con Al Pacino, Greta Gerwig, Kyra Sedgwick, Nina Arianda, Charles Grodin, Dianne Wiest, Dan Hedaya, Billy Porter, Maria Di Angelis, Li Jun Li, Ricky Paull Goldin, Victor Cruz, Katrina E. Perkins, Maria-Christina Oliveras e Andrea Barnes.