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Wim Wenders Ritorno alla vita: recensione in anteprima del film di Wim Wenders

Un Wim Wenders minore, pesce fuor d’acqua quando si tratta di conciliare l’esigenze del blockbuster ad una sensibilità ben diversa come la sua. Ne viene fuori Every Thing Will Be Fine, film dalla confezione impeccabile e nulla più

pubblicato 11 Febbraio 2015 aggiornato 18 Gennaio 2024 15:53

Uno scrittore in cerca d’ispirazione si chiude in un capanno in mezzo alla neve. Misura estrema se vogliamo, che ci suggerisce un periodo di crisi creativa alla quale non si sa più come fare fronte. Andando in giro in auto, Tomas (James Franco) rischia di mettere sotto un ragazzino. A quanto pare sembra aver frenato appena in tempo, tanto da salvarlo; se non fosse che su quella slitta che gli ha tagliato la strada ci fosse anche il fratellino più piccolo, rimasto sotto l’auto.

È questo l’evento scatenante, dopo il quale le vite di chi è rimasto coinvolto, direttamente o meno, non sono più le stesse. Wenders ammicca al neorealismo, quello che ripiega su un muto esistenzialismo fuori tempo massimo e senza una borghesia di riferimento, confermando tale indirizzo per tutto il film. Che però ha la confezione da blockbuster, perciò Every Thing Will Be Fine diventa uno di quegli ibridi che per forza di cose rischiano di fare una brutta fine.

Ritmo estremamente rilassato, il regista tedesco porta avanti la storia prima di quattro anni, poi di nuovo di quattro, poi di due e o poi di uno, per un totale di undici anni. Qualora ce ne fosse bisogno, emerge in modo ancora più luminoso lo stacco tra un progetto ordinario che si staglia su un arco temporale così ampio ed uno invece come Boyhood. Niente o quasi dà ragione dello scorrere del tempo in Every Thing Will Be Fine, e la storia di questo scrittore inizialmente sopraffatto dai sensi di colpa, che col tempo attenua ma che lo stravolgono definitivamente, fatica troppo ad attecchire.

Questo perché Wenders non osa nulla, rimanendo ampiamente all’interno del dramma canonico, al quale non aggiunge né toglie nulla. Ma non è certo questo il peccato del film, che semplicemente si sforza di perdere lo spettatore strada facendo; spettatore che il narratore vorrebbe più preso, più partecipativo, ma al quale non vengono forniti gli strumenti adatti per riuscirci. Anzi, a tratti scoraggia Every Thing Will Be Fine, con queste continue dissolvenze, questi movimenti di camera così puliti, come impeccabili sono le inquadrature. Un lavoro insomma che trasuda inautenticità da tutti i pori, e di questo lo spettatore se ne accorge, girandosi automaticamente dall’altra parte.

Si può essere più o meno d’accordo su quanto sia opportuno tornare ancora oggi su certe tematiche, ma in realtà il vero problema ci pare che sia lo stesso che affligge un altro regista come Atom Egoyan, il quale, da quando ha iniziato a volere la botte piena e la moglie ubriaca (leggasi film di genere dal vago retrogusto autoriale) non riesce più ad essere incisivo come una volta. Ancora di più probabilmente, Wenders ci pare l’Herzog di parecchi anni a questa parte, sebbene Queen of the Desert resti su un gradino più alto: trattasi in entrambi i casi di registi che riescono a trovare una forma piena e convincente solo in ambito documentaristico. Sarà che questo fosse l’ovvio corollario di quel Nuovo Cinema Tedesco al quale sia l’uno che l’altro hanno contribuito non poco.

Oppure sarà James Franco, che qui più che devastato dal rimorso, sembra artificialmente acquietato da farmaci, con quel suo sguardo spento, quel tono mesto. Ma non si può certo imputare la colpa ad uno solo, ché semmai prima ancora bisognerebbe rivolgersi allo sceneggiatore, il quale riesce ad inserire scene come una serie di schiaffi o una vendicativa pisciata sul letto sperando pure che i conti tornino. No, purtroppo non tornano.

Insomma, forse bisogna arrendersi all’evidenza che maestri come Wenders stanno meglio altrove, lontano da un’Hollywood che a questo punto volutamente si ostinano a non capire. Accostare una sensibilità così stravagante come quella del regista di Paris, Texas ad un prodotto in odore di megaproduzione, significa aspirare ad un inutile polpettone di cui evidentemente interessa poco pure agli autori. Ne deriva un ritratto didascalico, sterilmente introspettivo, quanto basta per darsi un tono e nulla più.

In un altro contesto la storia di queste tre persone che, nonostante tutto, continuano con le rispettive vite, ciascuno a proprio modo, avrebbe reso di più. Certi temi, certi sviluppi, interni ed esterni ai personaggi, non soffocati dalle maglie di una macchina come quella dell’industria ad alto budget, avrebbero trovato un terreno senza dubbio più fertile. Invece di questo Every Thing Will Be Fine restano delle prove attoriali discutibili, un 3D inutile e persino una regia che non aiuta, né gli attori né noi che il film lo guardiamo.

Voto di Antonio: 4½
Voto di Gabriele: 4

Every Thing Will Be Fine (USA, Germania, 2015) di Wim Wenders. Con James Franco, Charlotte Gainsbourg, Marie-Josée Croze, Rachel McAdams, Robert Naylor, Peter Stormare, Julia Sarah Stone e Patrick Bauchau.

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