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Suicide Squad: recensione in anteprima

Un progetto condotto col freno a mano tirato, vittima dei suoi stessi compromessi. Suicide Squad di David Ayer conferma una DC che al cinema è ancora alla struggente ricerca di una sua identità

pubblicato 4 Agosto 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 08:11

In ambiente militare e governativo, alte sfere, la denominazione Task Force X è praticamente tabù: un progetto troppo folle, al quale anche i più esaltati sono convinti di non dovere ricorrere. Di che si tratta perciò? «Combattere il fuoco col fuoco», questo dice la spregiudicata Amanda Waller (Viola Davis): dinanzi ad un pericolo incombente di scala elevata, l’unico modo per sperare di uscirne fuori e opporre alla feccia altrettanta feccia. Questo gruppo si dà un nome, che è in codice come quello riportato sopra ma che al tempo stesso risulta più incisivo data la natura del loro incarico: Suicide Squad.

Il film di David Ayer, al netto di critiche alla critica nient’affatto infondate, doveva essere quello del riscatto relativamente all’universo DC lato cinema. Gli ingredienti c’erano tutti: un gruppo di villain chiamati immancabilmente controvoglia a compiere una buona azione, ossia salvare il mondo. Sì, esatto, non a sventare il piano criminale di un personaggio non meno pazzo di loro ma che, a differenza loro, ha la ventura di essere ancora libero di scorrazzare per le vie del mondo… no, si tratta proprio di evitare che venga distrutto, questo mondo. È il leitmotiv de L’uomo d’acciaio, così come di Dawn of Justice: il pericolo è su scala globale, viene da fuori e lo si può affrontare solo servendosi di alleati straordinari. Un percorso se vogliamo leggermente inverso a quello che sta operando la Marvel, che dalla reiterata minaccia mondiale si sta poco alla volta emancipando man mano che va introducendo altri personaggi del suo universo (vedi Ant-Man e Deadpool), riducendo la portata dei conflitti e per conseguenza guadagnandoci.

Non si tratta di una componente secondaria, perché è proprio tale scelta ad informare tutto il resto. Suicide Squad offre una prima mezz’ora notevole, dilapidando una fortuna in un arco ristrettissimo di tempo solo in diritti discografici; e questo per presentare i vari personaggi. Si potrebbe avere qualcosa da ridire sulla disparità di trattamento, per cui viene chiarito sin dalle prime battute che Harley Quinn (Margot Robbie) e Deadshot (Will Smith) sono i veri protagonisti di questo film, ma sin qui è accettabile. A livello di character i veri problemi, per certi versi insormontabili, stanno altrove.

Partiamo dal Joker, di per sé un buon Joker, che però in un contesto del genere è relegato a far vetrina. Inconsistente il suo peso specifico in questa vicenda, se non per essere mostrato in versione pappone, caricato di accessoristica varia manco fosse un rapper gangster. Utilizzato male quindi, per lo più inserito nell’ottica di offrire un retaggio ad Harley Quinn. Deadshot non è da meno: padre di famiglia, porta avanti la sua attività di mercenario per l’amata figlia, che sa cosa fa il padre ma gli vuole bene lo stesso. Qualora non si fosse poi capito nel corso del film, sul finale si decide di premere sull’acceleratore e chiarire una volta per tutte che questi due personaggi in fondo non sono dei cattivi ma persone ordinarie, con aspirazioni ordinarie, corrotti però dagli eventi.

Ecco, in questo passaggio viene fuori uno dei limiti più evidenti di Suicide Squad, ossia nella volontà di umanizzare, o peggio, “normalizzare” questi personaggi anziché lasciarli a briglia sciolta. Non si tratta di una deriva non voluta bensì di una scelta precisa, evidentemente ponderata ma nondimeno sbagliata. Anche laddove le dinamiche interne a questo gruppo danno adito a discorsi interessanti, aleggia costantemente quell’alone di compromesso che mina anche le tracce dal potenziale maggiore. Ad un certo punto viene naturale, per esempio, chiedersi chi siano i veri cattivi e cosa significhi essere cattivi. Bene, bastano poche sequenze per essere riportati coi piedi per terra a fronte di uno sviluppo che con una mano tenta di costruire mentre con l’altra distrugge. E, come già evidenziato, sono tutte tare di scrittura, trovate senza né capo né coda, che denotano una pigrizia disarmante.

Su tutte la presenza oltremodo scomoda e dalla complicatissima gestione della divinità antica di oltre seimila anni, fratello dell’Incantatrice, che all’improvviso torna a rivivere a mietere vittime nel nostro tempo. Sgravato all’inverosimile, la sua introduzione comporta delle difficoltà difficilmente superabili, che non a caso nel film si risolvono in maniera oziosa, priva di qualunque credibilità anche alla luce della presunta logica su cui si basa questo universo. Il punto è che, di nuovo, la svolta fantasy proprio non la si riesce a gestire, ed una volta immessa genera gli stessi danni di una bomba atomica. Insomma, di più non posso dire a tal proposito, ma chi vorrà avrà modo di capire a cosa mi riferisco quando si troverà di fronte alla scena incriminata, cioè la disfatta del nemico in questione. Roba che va oltre la mancata fiducia nello spettatore, al quale viene urlato in faccia «beccati questo, cretino»!

In realtà si potrebbe stilare una lista di piccoli, medi e grandi passaggi che danno contezza di questa “frettolosità”, per usare un eufemismo, nel risolvere tante, troppe scene. Tanto da mettere in ombra non soltanto i già menzionati elementi in cui Suicide Squad offrirebbe spunti notevoli, seppelliti dal suo stesso incedere, a tratti vistosamente claudicante. Certo, qua e là emergono dei siparietti carini: Harley Quinn è un buon personaggio, fuori di testa e provocante, alla quale si rischia addirittura di affezionarsi; Deadshot deve più a Smith che al personaggio, nel bene e nel male; poi però il nulla, tutti gregari (senza nemmeno scomodare le più o meno illustri comparsate), alcuni dei quali ci si domanda perché lì, come Katana, che Flag (Joel Kinnaman) presenta al gruppo come colei che gli coprirà le spalle (?).

Progetti come Suicide Squad confermano una regola aurea ancorché banale: vanno presi dei rischi. La Warner invece conferma ancora una volta che tali rischi attualmente non sono alla sua portata, che 175 milioni di dollari rappresentano un più che valido motivo per tenere conto di tante, troppe cose, anche a rischio di castrare imprese del genere. Solo che a certe condizioni risulta arduo, se non impossibile, consegnare qualcosa di valido, non importa quanto le premesse e le intenzioni fossero buone. La DC sul grande schermo non ha ancora trovato la sua quadratura, perciò non si tratta di stabilire se sia meglio o peggio di quanto va offrendo da anni la Marvel (chi scrive non è particolarmente entusiasta di Civil War, men che meno di X-Men – Apocalypse): dall’altra parte l’identità è più o meno netta, e col tempo, sulla scorta di quanto ravvisato in apertura di questo scritto, ci si sta addirittura concedendo delle cose forse impensabili fino a qualche anno fa, che non a caso hanno diviso, come i buoni Ant-Man e Deadpool appunto, nonché l’ancora più buono I Guadiani della Galassia.

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Si tratta di riporre maggiore fiducia nelle storie e nei personaggi che ne sono coinvolti, limitando i calcoli e provando ad andare oltre il desiderio del prodotto bilanciato secondo logiche però sbagliate, fuorvianti nel migliore dei casi. Dei villain che si uniscono per una “giusta causa”? Quanto bello poteva essere? Mi do io stesso una risposta: tanto. A patto però di non snaturare tali personaggi, di non proporre per forza di cose delle ingombranti ragioni alla base della loro condizione, sia questa follia, cattiveria, pericolosità e via discorrendo. Dovevano essere lasciati liberi di agire, di sorprenderci, di farci ridere, di “scandalizzarci”, in altre parole di colpirci. Ed invece no. Il dispositivo che utilizza la Waller per tenerli a bada diventa metafora nemmeno tanto criptica rispetto a quanto fatto dagli sceneggiatori, che a loro volta tengono al guinzaglio ogni singolo aspetto di questo film. Guadagnandoci in sicurezza, forse, ma a scapito di cosa? La risposta a questa domanda contempla tutto ciò che irrimediabilmente manca a Suicide Squad.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”2″ layout=”left”]

Suicide Squad (USA, 2016) di David Ayer. Con Jared Leto, Ben Affleck, Will Smith, Margot Robbie, Joel Kinnaman, Jai Courtney, Adam Beach, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Jay Hernandez, Karen Fukuhara, Scott Eastwood, Cara Delevingne, Viola Davis, Common, Jim Parrack, Ike Barinholtz e Corina Calderon. Nelle nostre sale da sabato 13 agosto.