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Cannes 2018, L’uomo che uccise Don Chisciotte: recensione del film di Terry Gilliam

Festival di Cannes 2018: finalmente Gilliam mostra al mondo il film più a lungo sognato e atteso. Un proclama contro certo facile cinismo, col piglio esuberante e perciò non sempre ordinato di chi sa far emergere il vero proprio attraverso questa vitalità

pubblicato 29 Maggio 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 19:50

Toby (Adam Driver) è un talentuoso regista che si trova in Spagna per girare una pubblicità. Dobbiamo fidarci circa il suo talento, visto che a suggerircelo sono i continui complimenti e salamelecchi dei suoi collaboratori, che incensano il giovane a dispetto della sua apatia. L’aspetto complesso nell’accostarsi ad un film come The Man Who Killed Don Quixote è che avverti esservi svariati strati, ma fino alla fine non sei del tutto persuaso su quali e quanti siano. Ci sono infatti più modi di abbandonarsi a questa quasi trentennale fatica di Terry Gilliam, e sinceramente non me la sento di prescriverne una in particolare; eppure, a secondo dell’approccio, è possibile ricevere tutto ciò che il regista britannico ci lancia addosso in un modo piuttosto che in un altro, che magari è il suo opposto.

Dicevamo di Toby, per esempio: anche lui, come Gilliam, dieci anni prima ha provato a girare un film sullo sgangherato eroe della Mancia. Ed anche a lui, manco a dirlo, andò male. Ora, non sempre si vuole forzare il testo, senonché con Terry Gilliam un’operazione del genere in qualche modo la si deve tentare, ché sennò si ha l’impressione di perdersi qualcosa. Il nostro, per dirne una, ha settantasette anni, però questa sorta di alter-ego impersonato da Driver ne ha meno della metà: che intende dire? C’è una verità che filtra, già enunciata tempo addietro da Herzog, per cui per fare film l’età non conti. E da quanto certi maligni danno Gilliam per bollito, uno che oramai non ha più il tocco di un tempo? Eppure un film come questo, che mai sapremo fino a che punto ha risentito in negativo o in positivo di una così travagliata gestazione, non lo puoi nemmeno concepire se non hai qualcosa da dire ma soprattutto se non hai una vaga idea su come dirla.

C’è una prima parte in cui è come se si tenessero le briglie di un cavallo pronto ad impazzire da un momento all’altro; qualche battutina, un tono tutto sommato leggero, ma stiamo ancora coi piedi per terra. A un certo punto Toby, che fino a quel momento si è trascinato tra set ed altre assolate location di una torrida campagna spagnola, va a trovare colui che avrebbe dovuto interpretare il suo Don Chisciotte anni prima: chiuso in una di quelle baracche mobili con cui un tempo viaggiavano i maghi da paese in paese, è come se quello spazio risicato ne contenesse l’impeto, prigioniero più che ospite. In maniera rocambolesca riesce a scappare, ed allora comincia questo viaggio febbricitante in cui accade tutto e il contrario di tutto.

Gilliam mescola realtà e fantasia, ricordi, aspirazioni; prende un evento e lo rielabora a proprio piacimento, senza curarsi più di tanto di quanto accaduto prima o di ciò che sta per accadere. È stato definito «messy», confusionario, ma l’impressione è che così appaia a noi malgrado una sorta di coerenza interna; lo so, si rischia di ricorrere a questo jolly per condonare la qualsiasi, però davvero, c’è differenza tra un film sconclusionato ed uno bislacco, sopra le righe. Tanto più che certa stravaganza è marchio di fabbrica in Gilliam, e che in questo caso viene declinata in un modo atipico, meno “visionario”, con un lavoro più incisivo proprio sul testo, il che non significa solo la sceneggiatura.

The Man Who Killed Don Quixote è infatti un film che vive di estemporanee accelerazioni, di bagliori improvvisi alternati a momenti di stasi, quasi un trascinarsi che è in parte richiamato dall’atteggiamento remissivo del Toby d’inizio avventura. Ecco, un film d’avventura in cui e per cui la meta non è mai davvero chiara, e questo scardinare uno dei principi che stanno un po’ alla base del genere può risultare disorientante. Tuttavia è bello perdersi in quel guazzabuglio di situazioni, in cui un facoltoso produttore russo non è soltanto un facoltoso produttore russo, ma tutto ciò non può che sfuggire se stiamo lì a cercare la ratio dietro a certi sviluppi, effettivamente bizzarri, verrebbe da dire, giusto per intenderci, “immotivati”.

Quella che ci sottopone Gilliam è visione, senza però stare lì a contemplare altezze che non vi sono. Visione nel senso del suo modo di vedere il cinema ma anche la vita, perché in fin dei conti è difficile separare le due dimensioni se, come pare essere nel caso del regista, ti sforzi di viverle così a fondo entrambe. Al netto del suo essere scomposto, dunque, sotto quel groviglio di vestiti e suggestioni, pulsa qualcosa di vero, di vitale in The Man Who Killed Don Quixote, un’autenticità alla quale, paradossalmente (ma nemmeno tanto), non si sarebbe potuto pervenire se non mediante gli svariati veli di menzogne, ricostruzioni e mezze verità apposti, scherzandoci su, trattando il tutto con quello humor che in fondo spezza la profondità dell’idea su cui l’intero progetto è imperniato.

Quale? Non lo si capisce subito, ma arrivati alla fine è chiaro come il sole, senza possibili fraintendimenti. Sulla falsa riga della meravigliosa (ri)lettura del capolavoro di Cervantes, quella di Miguel de Unamuno, si considera Don Chisciotte come colui a cui guardare con gli occhi della Fede, più che un esempio, proprio perché ciò che è va oltre il personaggio. Viene detto chiaramente: «Don Chisciotte non morirà mai», proprio per questo deve di volta in volta essere ucciso. E proprio per questo è degno di Fede, lo si deve avvicinare con quell’ansia e quella tensione quasi religiose di chi vede oltre la sconfitta. Suppongo sia la medesima Fede che ha accompagnato Gilliam in questi anni e che, alla fine, gli ha permesso di girare un film impossibile; lui, novello Don Chisciotte, pronto a salvaguardare l’onore della sua Dulcinea, in sella ad un ciucco mentre tenta di farsi strada tra il sempre più difficile e complesso panorama del cinema di questo inizio secolo.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]

The Man Who Killed Don Quixote (Regno Unito/Spagna, 2018) di Terry Gilliam. Con Adam Driver, Olga Kurylenko, Stellan Skarsgård, Jonathan Pryce, Óscar Jaenada, Jordi Mollà, Rossy De Palma, Jason Watkins, Sergi López e Paloma Bloyd. Fuori Concorso. Nelle nostre sale in autunno per M2 Pictures.

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