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Il bosco fuori: intervista al regista e produttore

CineBlog è orgoglioso di ospitare una mini intervista a Gabriele Albanesi (GA) e Gregory Rossi (GR), rispettivamente regista e produttore di Il Bosco Fuori, film horror splatteroso italiano di prossima (speriamo) uscita.1. Il bosco fuori. Come nasce questo film? GA: Il film l’ho scritto nel novembre 2000 e nelle mie intenzioni voleva essere una sorta

di carla
13 Agosto 2006 14:34

CineBlog è orgoglioso di ospitare una mini intervista a Gabriele Albanesi (GA) e Gregory Rossi (GR), rispettivamente regista e produttore di Il Bosco Fuori, film horror splatteroso italiano di prossima (speriamo) uscita.

1. Il bosco fuori. Come nasce questo film?
GA: Il film l’ho scritto nel novembre 2000 e nelle mie intenzioni voleva essere una sorta di rilettura di Non Aprite Quella Porta con dentro anche molto del cinema di Dario Argento, Phenomena in particolare. Era una sorta di sogno adolescenziale, la summa di tutti i film che ho amato e al tempo stesso il film che da sempre avrei voluto veder realizzato: iperviolento, estremo, eccessivo, un horror duro e puro in pieno stile anni ’70. Ho passato cinque anni a cercare un produttore, ma inutilmente. Nel frattempo ho fatto pratica dirigendo alcuni corti e frequentando i set dei Manetti Bros. Ma Il Bosco Fuori rimaneva la mia ossessione costante, il pensiero che mi accompagnava ogni giorno prima di andare a dormire. E così verso l’aprile del 2004, depresso per i continui rifiuti, ho deciso di autoprodurre il film coinvolgendo alcuni professionisti e cercando di trovare i soldi per conto mio. Ma la situazione si è veramente sbloccata solamente alla fine del 2004 quando ho reincontrato il mio amico Gregory, appena diplomatosi in produzione al Centro Sperimentale, che con un autentico colpo di mano ha deciso di produrre in proprio il film tramite la sua società di produzione fondata apposta per l’occasione. E così, l’estate successiva, il sogno si è realizzato e abbiamo potuto iniziare le riprese del film.
GR: Il film nasce soprattutto dall’esigenza comune che avevamo io e Gabriele di fare un film che fosse un pugno nello stomaco dello spettatore. Il cinema italiano è, a nostro avviso, morto (o perlomeno agonizzante) ormai da tempo. Ci voleva qualcosa che fosse estremo, che si contrapponesse ai film carini ed inoffensivi che offre la sala nel nostro paese. Quando ho finito il Centro Sperimentale ero alla ricerca di un progetto del genere e Gabriele mi diede la sceneggiatura del Bosco Fuori ad una festa. Girarlo a quel punto era inevitabile….

2. Chi ha scelto il titolo italiano, tra l’altro molto misterioso ed evocativo? E quello internazionale?
GA: Il titolo italiano è mio, anche se la primissima stesura del 2000 portava un altro titolo: “Sterzo”, che alludeva sia al volante della macchina con cui vengono presentati i personaggi che all’imprevedibilità della trama fatta di continui colpi di scena e di “sterzate”. Ma già nella seconda stesura ho mutato il titolo nel più pertinente “Il Bosco Fuori”. Invece il titolo internazionale “The Last House in the Woods” è stata una scelta della Minerva Pictures, la società che ha acquistato i diritti per la distribuzione estera del film. La Minerva ci ha presentato due-tre proposte di titolo e tra queste abbiamo optato per “The Last House in the Woods”, che richiama il classico di Wes Craven. C’è da dire però che come titolo per l’estero avremmo preferito la traduzione letterale di quello italiano, ovvero “The Woods Outside”. Ma ciò non è stato possibile.

3. Avete presentato il trailer a Cannes. Come è stata la reazione dei
presenti?

GR: La reazione è stata molto positiva. Il mercato di Cannes è stracolmo di horror provenienti da tutte le parti del mondo (tranne che dall’Italia, ovvio), ma più di una persona ha trovato che il nostro trailer promettesse qualcosa di meglio dei soliti horror preconfezionati che scimmiottano i film hollywoodiani. Penso si vedesse che il nostro è un film nato dalla passione e dalla necessità di creare un prodotto nuovo ed in modo creativo. Particolarmente interessati, tra gli altri, erano i distributori tedeschi e americani che aspettano di vedere il film finito. Attendiamo trepidanti insieme a loro la presentazione ufficiale del film all’American Film Market a Los Angeles, a novembre.

4. Che mi dite delle locations? Sono in Italia?
GR: Il film è stato girato interamente nelle zone limitrofe al Tuscolo, zona boschiva dei Castelli Romani ed in una bellissima villa dal sapore straniante a Castelgandolfo. In questo modo abbiamo girato con le comodità tipiche di quando si gira in una grande città come Roma, senza tuttavia subirne le difficoltà, dato che in provincia le persone e le istituzioni sono molto più disponibili ad aiutare un gruppo di giovani intraprendenti.

5. A parte qualche nome famoso il cast è composto da attori sconosciuti, dove li avete trovati?
GA: Gli attori sono stati scelti dopo alcuni mesi di casting, con annunci pubblicati su internet, su qualche giornale specializzato e affissi in giro per le scuole e le università. Tuttavia alla fine gli attori migliori si sono rivelati quelli che avevamo chiamato dal Centro Sperimentale, tra cui la protagonista Daniela Virgilio e i co-protagonisti David Pietroni e Daniele Grassetti, tutti esordienti. Per il ruolo di Antonio invece ho voluto richiamare Rino Diana, un attore a cui sono molto affezionato, che già aveva interpretato il mio corto western-horror Braccati. Poi abbiamo i due camei iniziali di Elisabetta Rocchetti ed Enrico Silvestrin, reclutati tramite i Manetti e il loro Piano 17, e la presenza del grande Cristiano Callegaro che ci ha regalato una delle sue migliori performance. Ma tutti gli attori in verità sono stati grandi, e questo è inconsueto sia per un horror che per un film a basso costo.

6. Perché gli horror italiani non funzionano?
GA: A parte i motivi strutturali legati alla morte dell’industria che hanno fatto sì che in Italia non si producessero più horror per quasi vent’anni, c’è da dire che il regista italiano ancora non riesce a scrollarsi di dosso la mentalità autoriale, come se si vergognasse a fare del genere puro e semplice. E così due film indipendenti e autoprodotti come Ad Project di Puglielli e H2Odio di Infascelli, che avrebbero potuto essere dei veri horror senza condizionamenti esterni, si sono rivelati in realtà mortali pippe intellettuali e sbrodolamenti criptico-narcisisti tipici dell’epoca più buia del nostro cinema. Eppure, a sentire le dichiarazioni dei rispettivi autori, di film horror si tratterebbe. La verità, io credo, è che manca alla base una vera cultura cinefila del cinema di genere. Ovvero in Italia ancora non abbiamo una generazione di giovani registi cinefili, alla Tarantino per intenderci, e quindi quando un Puglielli va a fare Occhi di cristallo lo fa da mestierante, e non da autore di genere. E questo è il motivo per cui tutto il gruppo dei registi italiani sopra i 30 che ha provato a fare il genere (ovvero i Puglielli e gli Infascelli) ha fallito: perchè questi registi ci hanno messo solo la tecnica, derivata dal videoclip o dalle scuole di cinema, dimenticando tutto quello che è la storia, la passione e la conoscenza del cinema passato.
GR: Chi dice che non funzionano? Da anni si dice che il pubblico aspetta un bel film horror, scioccante. Ci ha provato la Cattleya con Occhi di Cristallo, ma i gravi problemi di sceneggiatura lo hanno affossato. I produttori allora hanno pensato “Non è vero che l’horror va bene”. Non hanno preso in considerazione l’idea che fosse il film ed essere brutto. E allora tutti si sono ritirati dai giochi.
Che dire poi della notizia dei famigerati “Masters of horror italiani”? Affidare un progetto del genere, già di per se un’ovvia scopiazzatura di un format americano di successo (ma anche di scarso livello qualitativo), a registi di 70 (SETTANTA!) anni, con decine e decine di film alle spalle è un suicidio più che scontato! Grandi registi, non c’è che dire, ma si suppone che abbiano già detto tutto, e oltre, quello che avevano da dire. Se proprio si sentiva il bisogno di un progetto del genere, perché non dare la possibilità a giovani esordienti di girare i loro film? Spero di sbagliarmi, ma ho paura che anche questo progetto sarà un flop e allora di nuovo si dirà: “Non è vero che l’horror va bene”.
Il Bosco Fuori parte da una sceneggiatura di ferro ed è stata proprio questa a convincermi ad intraprendere questa avventura. Penso sinceramente che il pubblico stia ancora aspettando quel famoso film horror, e che Il Bosco Fuori abbia le carte in regola per esserlo.

7. Cosa ne pensate di questa moda dei remake di remake, molto usata anche nell’horror?
GA: Chiaramente si tratta di una strategia di Hollywood per sfruttare il fascino dei grandi classici dell’horror anni 70 e riproporli in chiave moderna, spesso dimenticando però un fattore fondamentale, e cioè che quei film non erano prodotti mainstream, ma opere indipendenti la cui forte carica eversiva derivava proprio dall’essere realizzati al di fuori del sistema ufficiale. Registi come Tobe Hooper o George Romero agivano come veri e propri guerriglieri del senso comune, mentre la stessa cosa oggi non si può dire di yes-man come Marcus Nispel o Rupert Wainwright, che sono solo confezionatori di immagini pubblicitarie prive di anima e forza. Certo vi sono delle eccezioni, ad esempio mi aspetto molto dal remake di Aja de Le Colline hanno gli occhi, ma in generale la linea del mercato è quella di proporre rivisitazioni roboanti e fracassose dei vecchi classici, spesso ignorando addirittura l’efficacia delle soluzioni narrative presenti nelle sceneggiature originali (pensiamo al pessimo remake di The Fog).

8. E di questa ondata di film horror giapponesi?
GA: Personalmente non ho mai amato gli horror orientali, nemmeno quando andava di moda professarsene cultori nei circoli cinefili. Trovo che siano film piuttosto deboli, spesso derivanti dal prototipo di Ringu in maniera troppo passiva, e caratterizzati da un ritmo lento e prevedibile. Forse hanno il merito di aver riproposto un tipo di horror serioso, che vuole fare paura e che si prende molto sul serio, e in certe soluzioni stilistiche e narrative possono aver influenzato un talento come Shyamalan (ci sono notevoli affinità tra Ringu e il di poco successivo The Sixth Sense), ma come tutti i filoni di successo anche quello del nippo-horror ha scontato lo sfruttamento selvaggio di prodotti realizzati in serie e senza più alcuna credibilità.

9. Una curiosità personale: che aria si respira sul set di un film horror?
GA: Il set è stato veloce e immediato, e si correva molto perchè il tutto è stato completato in tre settimane. Non ci sono state maledizioni da film horror o sinistri presagi, e nemmeno particolari attriti tra gli attori. Diciamo che tutto si è svolto abbastanza regolarmente, anche se a un certo punto, dopo una dodici ore di mattanza dentro una stanza completamente lorda di sangue, di cadaveri e di arti mozzati, mi sono un attimo estraniato da ciò che mi circondava e mi sono detto: “ma che diavolo stiamo facendo?”. Ma è stato solo un breve momento di lucidità, subito dimenticato.
GR: Opposta a quella che poi si vede nel risultato finale. L’atmosfera è allegra e divertita. Tutti si divertono un mucchio a vedere come vengono realizzati gli effetti più truculenti e poi il sangue finto ha un ottimo odore di marsiglia e ciliegia. I bambini erano quelli che si divertivano di più. L’ultimo giorno sono venuti i fratelli più grandi dei due bambini che recitavano. Erano ragazzi di 14 anni circa ed erano letteralmente in visibilio! C’è da dire comunque che durante uno dei giorni in cui si è usato più sangue, una delle nostre protagoniste ha avuto un malore e si è dovuta allontanare dal set per una mezz’ora. Psicologicamente, soprattutto per gli attori, alle volte può essere dura.

10. Ho visto delle foto del backstage in cui appare anche Sergio Stivaletti. Come è stato lavorare con lui?
GA: Sergio è una persona squisita, umile e al completo servizio delle riprese. Paziente e in silenzio, lavorava ai suoi trucchi in un angolo della villa che aveva adibito a laboratorio mentre noi nelle stanze accanto effettuavamo le riprese. E’ sempre stato presente in prima persona, e nei giorni più difficili si è trasferito sul set con tutto il suo staff di collaboratori. Non ci ha trattato da dilettanti, o con aria di sufficienza, ma al contrario sempre con profondo rispetto e serietà. Un vero gigante!
GR: Che dire? Sergio è una persona eccezionale. Lavorare con lui ed il suo gruppo è stato un sogno. Inizialmente lo avevamo contattato solo per alcuni consigli, ma lui è rimasto talmente colpito dal nostro entusiasmo e dalla qualità del progetto che ha deciso di farci anche gli effetti. E sul set era sempre preciso e puntuale. Lui e i suoi ragazzi sono venuti ogni volta che potevano e si sono divertiti insieme a noi ad esagerare il più possibile con il sangue. Ormai mitica è la frase di Sergio sul set: “Non ho mai utilizzato tanto sangue in un altro film!”

11. Giochino: dovete salvare dieci film horror per tramandarli ai posteri.
GA: In ordine sparso: Profondo Rosso, Phenomena, The Blair Witch Project, L’Esorcista, Non Aprite Quella Porta, L’Abominevole Dottor Phibes, Rosemary’s Baby, Funny Games, Il Fantasma del Palcoscenico, Martin di Romero.
GR: Sono in ordine sparso: Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis, La Casa di Sam Raimi, Brain Dead di Peter Jackson, L’uomo invisibile di James Whale, Nightmare di Wes Craven, Profondo Rosso di Dario Argento, Il Fantasma del Palcoscenico di Brian de Palma, Blair Witch Project di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, Psycho di Alfred Hitchcock, L’Inquilino del Terzo Piano di Roman Polanski.

12. Il bosco fuori arriverà nelle sale italiane?
GR: A questa domanda non so ancora rispondere. La Minerva Pictures sembra essere interessata ad una distribuzione in home video a partire da gennaio-marzo 2007, ma ovviamente noi vorremmo andare in sala. A film finito cominceremo a girare tutte le case di distribuzione che potrebbero essere interessate. Contiamo anche di riuscire a far entrare il film in qualche festival di rilevanza internazionale per attirare più compratori.

Che dire? Speriamo. Cineblog vi ringrazia e incrocia le dita per voi.