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Addio a Philip Seymour Hoffman

Ritratto e omaggio a Philip Seymour Hoffman, grandissimo interprete anche nei piccoli ruoli. Un “master” che mancherà molto a Hollywood e soprattutto a tanti numerosi fan.

pubblicato 3 Febbraio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 04:36

Quando nel 1993 uscì al cinema “Scent of a Woman”, remake hollywoodiano del nostro “Profumo di donna”, gli occhi degli spettatori erano tutti (ovviamente) puntati sulla performance di Al Pacino, su quel tango sensuale con Gabrielle Anwar e la folle corsa in Ferrari. Ad aprire e chiudere il film c’erano però le sequenze nella scuola, dove il giovane protagonista subiva i silenziosi ricatti dei viziatissimi compagni, capitanati da un certo George Willis Jr., faccia da schiaffi peggiore degli altri.

Mi rimase subito impresso quell’attore, biondo, ambiguo e lentigginoso, talmente a suo agio in un ruolo ingrato da riuscire ad accaparrarsi con naturalezza l’antipatia dell’intera platea. Lo abbiamo conosciuto più o meno tutti così il grande Philip Seymour Hoffman, iniziandolo subito a detestare per la sua bravura, quella stessa che nei successivi vent’anni di carriera non avrebbe fatto altro che confermarci. Fino all’appena trascorso 2 Febbraio, tragica data che ha interrotto definitivamente quel cammino di attore in continua (e irresistibile) maturazione.

Oltre vent’anni trascorsi dentro e fuori Hollywood, entrando prima dalla porta di servizio dei non protagonisti (ma lasciando il segno che si addice ai migliori caratteristi) e infine uscendo dall’ingresso riservato ai protagonisti. Grande ovunque e soprattutto nei ruoli piccoli. Ma forse non esistevano piccole parti per lui dal momento che i suoi personaggi si ricordano sempre, anche quando i riflettori erano puntati su altre star. Dallo sgradevole sessuomane di “Happiness” di Todd Solondz allo Scotty J. infatuato del superdotato Mark Whalberg in “Boogie Nights”, fino ai piccoli ruoli in cult “Il grande Lebowski” e “Quasi famosi”, Hoffman riusciva a imprimersi sempre nella memoria cinefila grazie a quel ghigno leggero, l’ambiguità dello sguardo e la perfetta credibilità dei suoi personaggi.

E se la migliore Hollywood indipendente non se l’è mai fatto sfuggire (da Paul Thomas Anderson a Mike Nichols, da Sidney Lumet a Spike Lee), le sue capacità non gli hanno comunque impedito di partecipare con disinvoltura a produzioni più commerciali (Red Dragon, Mission Impossible III, Hunger Games-la ragazza di fuoco), illuminando tanti ruoli di vilain con la sua solida, consumata professionalità.

Ci mancherà davvero Philip Seymour Hoffman, e non soltanto perché ha reso ancora più vividi capolavori come “La 25 ora”, “Magnolia” e “Onora il padre e la madre”, ma soprattutto perché del grande attore aveva probabilmente il requisito fondamentale: la capacità di “sparire” dietro il personaggio, evitando di fagocitarlo per troppo manierismo.

Sarà per questo che di lui ci resteranno impressi più quei personaggi silenziosi, marginali e quasi reietti piuttosto che gli altisonanti protagonisti che gli hanno fruttato i maggiori allori (anche se l’oscarizzato Capote resta un esercizio di bravura notevole e da gustare tutto in lingua originale). Il prete de Il dubbio, il sensibile infermiere del già citato “Magnolia”, l’assistente del politico in Le idi di Marzo, figure tragiche e talvolta sfuggenti, tutte però indiscutibilmente dotate di una lacerante, intensissima umanità. E probabilmente non sarebbero state le stesse se ad incarnarle ci fosse stato un altro attore.

Ci mancherà Philip Seymour Hoffman, “Master” di un’arte che sapeva “manipolarci” proprio come capitava al debole Joaquin Phoenix dell’omonimo film di Thomas Anderson, Conte scatenato che nel finale di “I love Radio Rock!” sapeva chiudere in bellezza le trasmissioni mentre l’acqua gli montava sopra, facendo calare a picco nave e radio pirata.

Oggi, mentre tutta Hollywood piange la prematura scomparsa di un attore che non ha avuto la forza di salvarsi da se stesso, chiudiamo noi le trasmissioni con una canzone che probabilmente gli sarebbe piaciuta, quella “Save Me” di Aimee Mann che nello splendido “Magnolia” fa da collante al doloroso intreccio di vite dei protagonisti, assolvendoli simbolicamente da tutti i peccati.

“Vieni e salvami… se potessi salvarmi dalle schiere di strambi che credono di riuscire a non amare mai nessuno…”

Da qualche parte, ne siamo certi, anche lui è stato salvato. Riposa in pace Philip…