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Song to Song: recensione in anteprima del film di Terrence Malick

La città di Austin, la musica del SXSW, e le storie d’amore di Rooney Mara, Ryan Gosling, Michael Fassbender e Natalie Portman: nuova linfa nel cinema di Terrence Malick? Non proprio, anzi. Song to Song è un film noiosamente coerente, che rischia di snaturare una filmografia unica ma già traballante.

pubblicato 27 Marzo 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 00:50

La coerenza non è sempre un bene, e non fa sempre bene all’autorialità (altrimenti Tim Burton non sarebbe quel che è diventato). Perché la coerenza può anche rivelarsi non solo come continua riflessione sul mondo attraverso una determinata cifra stilistica che accompagna lo stesso sguardo, ma addirittura può rivelarsi come riflessione prevedibile.

Song to Song è un film molto prevedibile, e non solo perché è come Knight of Cups che era già come To the Wonder che era ovviamente costola diretta di The Tree of Life. Se vogliamo restare nella sfera dell’autorialità, e quando si parla di Terrence Malick un po’ si viene forzati a farlo, con due film (narrativi) post-The Tree of Life come quelli che il regista ha fatto, tutti – aficionados o meno – dovevano aspettarsi un film come Song to Song. Ma non sta qui il problema.

Il problema, se c’è e ovviamente a discrezione di chi scrive (che Malick, titolo più, titolo meno, l’ha sempre almeno rispettato), si era ben palesato col film precedente, il già dimenticato da tutti Voyage of Time. Documentario che, anche a causa dei tempi di lavorazione del suo autore, nasceva vecchio. E non perché alla fine, per dire, la versione in IMAX da 40 minuti a quel punto non valeva un episodio della serie BBC Planet Earth 2.

Nasceva vecchio perché le immagini e lo sguardo stesso sulla natura, sugli esseri viventi, sul misterioso che regna su di noi, e sul concetto di tempo, erano già stati affrontati in film precedenti. Le sequenze di Voyage of Time e il suo significato erano già terreno ben calpestato all’interno della filmografia del regista, compreso l’uso a tratti persino sgradevole della CGI (per cui la serie citata prima non ha mai dovuto fare uso, tra l’altro).

Chi accusava Malick di prevedibilità con To the Wonder si era già stufato in fretta di uno stile (o di una cifra, o di una filosofia). Lo stesso dicasi di chi fece lo stesso con Knight of Cups. E se è anche vero che quei due film senza The Tree of Life non sarebbero mai esistiti, per chi scrive erano due film che richiedevano uno sforzo interessante per trovarne l’unicità nella filmografia del regista.

Mi sembra però che in Song to Song non ci sia nulla di unico, di inedito, di nuovo. Compresa ovviamente la modalità di narrazione: il racconto è scoppiato, lo stile frammentario e co-firmato da Lubezki gli ridà forma. Song to Song, nei suoi circa 130 minuti di durata, è davvero il film più estremo di Terrence Malick, quello in cui il regista dà il suo addio al linguaggio. Coerentemente, dovevamo tutti intuire dove sarebbe andato a parare con questo film.

Però che peccato che Malick debba essere così noiosamente coerente, quando ha tra le mani un triangolo amoroso (che poi diventa qualcosa di più grande, e in cui entrano altri personaggi) e uno scenario rock come quello di Austin e poi va a dirci cose che ha già raccontato. Delle storie d’amore finite male ne aveva già detto in To the Wonder, della crisi artistica ne aveva già detto in Knight of Cups. Che era anche uno ‘studio’, forse involontario ma stimolante, su una grande città come Los Angeles.

Austin invece, scenario del SXSW e di movimenti musicali, sembra quasi non esistere in Song to Song. Credo sia una scelta che Malick abbia preso molto consapevolmente: Austin, che essendo texano lui conosce bene, deve rimanere uno sfondo e non diventare una protagonista. Come potrebbe essere altrimenti quando hai molti personaggi e un cast principale composto da attori amatissimi e carismatici come Rooney Mara, Ryan Gosling, Michael Fassbender e Natalie Portman?

Mi sembra però anche che il ‘nuovo’ stile di Malick, ovvero quello post-The Tree of Life, non sia molto adatto a raccontare storie corali. In Song to Song, che è anche più radicale nei suoi salti temporali e nella sue pennellate impressionistiche, c’è lo stesso strano distacco emotivo di To the Wonder. Quasi come se questo stile frammentario ed emotivamente complesso non si adattasse bene a un racconto che vede troppi personaggi principali in ballo. Mentre The Tree of Life e Knight of Cups, in fin dei conti, sposavano un solo punto di vista.

Qui si passa dai pianti di Rooney Mara alle frasi fatte e preconfezionate del luciferino Michael Fassbender, dal tocco religioso della storia della Portman ai pochi ma significativi momenti con Patti Smith (sue le scene più belle), senza soluzione di continuità. Non c’è tempo per far respirare le storie di queste persone. E anche il discorso sul sesso e sulla passione violenta, con addirittura una storia d’amore lesbica fra le tante per il personaggio della Mara (ecco una novità nel cinema di Malick!), finisce per dar spazio a un invito a ritornare alla vita pastorale che francamente è più ridicolo che romantico.

Se poi a qualcuno Song to Song piace o persino emoziona, beh questo è un altro discorso. In fondo va anche bene così, a meno che Malick non cambi drasticamente direzione col prossimo film (il più promettente Radegund). Se continuerà a guidare in questa direzione, ognuno si sentirà in diritto di preferire un film rispetto a un altro ‘e basta’, fine del discorso, tanto sappiamo già cosa è (diventato) il cinema di Terrence Malick. Che rischia di essere un cinema da ‘provare’ film to film.

[rating title=”Voto di Gabriele” value=”5″ layout=”left”]

Song to Song (USA 2017, sperimentale/drammatico 129′) di Terrence Malick; con Rooney Mara, Ryan Gosling, Michael Fassbender, Natalie Portman. Sconosciuta la data d’uscita italiana.