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Top 2019, i migliori film usciti in sala secondo Cineblog

Ecco i miglior film dell’anno secondo i redattori di Cineblog

pubblicato 18 Dicembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 15:17

Dodici mesi di cinema, dieci titoli o giù di lì. Congediamoci da questo 2019 che si appresta a tramontare con il nostro resconto rispetto a quanto di meglio è stato fatto passare dalle nostre sale, i Top del 2019 insomma. Ciascuno di noi redattori propone la propria idea, come abbiamo sempre fatto.

Un gioco che ci fa piacere proporre a voi lettori, e che quest’anno rappresenta solo la prima di due tappe, dato che a breve vi sottoporremo pure una Top con i migliori film del decennio. In attesa dunque di quella panoramica ancora più ampia, ecco le nostre liste (che, nel caso di Federico e Pietro, sono vere e proprie classifiche).

Buona lettura!

FEDERICO

10) Copia Originale di Marielle Heller ex-aequo Noi di Jordan Peele: il primo una piacevolissima sorpresa, perché mai nessuno avrebbe potuto immaginare una Melissa McCarthy tanto brava; il secondo una straordinaria conferma, perché dopo l’Oscar vinto con il sopravvalutato Get Out, Peele rilancia con coraggio grazie ad un film molto più ambizioso e stratificato.
9) Burning – L’Amore Brucia di Lee Chang-dong ex-aequo Border – Creature di confine di Ali Abbasi: da una parte l’ipnotico fascino del cinema coreano, sempre più pressante, dall’altra la seducente forza del cinema svedese, sempre più intrigante e in questo caso travolgente nella sua dichiarata e fieramente ostentata stranezza.
8) L’Ufficiale e la Spia di Roman Polański: 86 anni e non sentirli, pura scuola di classicità e robustezza cinematografica.
7) The Farewell di Lulu Wang: probabilmente lo script più esilarante e originale dell’anno. Si ride, ci si commuove, e quanta bravura nei protagonisti.
6) Joker di Todd Phillips: potente, immediatamente iconico, film spartiacque dal punto di vista dei cinecomic, e con un Phoenix monumentale.
5) C’era una Volta… a Hollywood di Quentin Tarantino ex-aequo Piccole Donne di Greta Gerwig: la riscrittura della storia attraverso il genio di un autore a cui nulla si può davvero più chiedere, da una parte, la rilettura di un classico adattato in modo meraviglioso, dall’altra.
4) Dolor y Gloria di Pedro Almodovar: l’8/2 di un regista che dopo 40 anni è arrivato al suo culmine. Elegante, commovente e personalissimo diario di bordo di un gigante.
3) La favorita di Yorgos Lanthimos ex-aequo Marriage Story di Noah Baumbach: ovvero l’unico vero miglior film del 2018, arrivato in Italia solo nel 2019, e l’unico vero scandalo di Venezia 2019, essendo tornato a casa a mani vuote. Eppure Noah, Adam, Scarlett e Laura hanno dato vita ad un film meraviglioso.
2) The Irishman di Martin Scorsese: il capolavoro definitivo del più grande regista vivente. Ogni altra parola è superflua.
1) Parasite di Bong Joon-ho: uno, nessuno e centomila film insieme. L’inattaccabile folgorazione di quest’annata, per qualità di scrittura, potenza della messa in scena e forza recitativa. Praticamente perfetto.

PIETRO

10) Alita – Angelo della battaglia: uno dei titoli più sottovalutati dell’anno. Robert Rodriguez e James Cameron confezionano un perfetto e visivamente sorprendente mix ad alta tecnologia che riesce miracolosamente a non snaturare il materiale originale (come accaduto con Ghost in the Shell), diventando al contempo esempio sul come approcciare adattamenti live-action hollywoodiani di cult nipponici.
9) Crawl – Intrappolati: Alexandre Aja torna alla qualità di titoli come Alta tensione e del remake Le colline hanno gli occhi firmando un piccolo e intenso cult a base di feroci alligatori che miscela con dovizia thriller e horror. Dopo tanta, troppa CGI posticcia finalmente un film che non delude neanche da quel punto di vista.
8) Dolemite is My Name: irriverente biopic dalla intrigante connotazione comedy che mostra ancora una volta le potenzialità di un efficace Eddie Murphy interprete, finalmente libero dagli stereotipati ruoli formato famiglia.
7) Rocketman: un biopic su Elton John tra fantasy e musical che conferma il talento di Taron Egerton e ne rivela sorprendenti doti vocali. Una messa in scena potente e travolgente che ci ha ricordato “Velvet Goldmine” nel suo debordante inno alla musica e alla vita.
6) Cena con Delitto – Knives Out: Rian Johnson rivisita e aggiorna con ironia e una certa furbizia il “mistery con delitto” che ha in Agatha Christie un imprescindibile punto di riferimento. Un divertito cast stellare al servizio di un plot classico, ma mai banale nel suo strizzare l’occhio ai tropi di un genere che definire inflazionato è un eufemismo.
5) Il Re Leone: Altro gioiellino live-action che riporta sul grande schermo un amatissimo classico d’animazione Disney. Jon Favreau replica e in qualche momento supera le meraviglie tecnologiche del suo “Libro della giungla”. Qualcuno potrebbe storcere il naso rispetto a tanta tecnologia applicata ad un classico che ha segnato l’infanzia di molti, ma questo remake live-action riesce nel 2019 ancora a strabiliare, e non ci sembra cosa da poco.
4) Avengers: Endgame – L’Universo Cinematografico Marvel culmina e riparte idealmente dopo questa debordante epopea in due parti che rappresenta lo “Star Wars” dei Marvel Studios.
3) Parasite: l’eclettico Bong Joon-ho realizza il suo film più potente e sorprendente che miscela una ficcante satira di stampo autoriale, ma con un occhio rivolto allo spettatore in cerca d’intrattenimento di alto profilo.
2) Joker: un intenso Joaquin Phoenix da Oscar per un film che si allontana a grandi passi dal formato “cinecomic” per omaggiare Scorsese e abbracciare una storia di origine “altra” rispetto all’iconografia dei fumetti.
1) The Irishman: sontuoso ed epico affresco “gangster” che riporta Martin Scorsese ai fasti di Quei bravi ragazzi e Casinò.

ANTONIO

Non ci sono posizioni, sebbene il primo spicchi su tutti gli altri. Per il resto, quanto segue è semplicemente ciò che a mio parere rappresenta il meglio di quest’annata nelle nostre sale, senza stabilire alcuna classifica.

Parasite, di Bong Joon-ho: a riguardo è stato detto tanto, troppo; una volta tanto però non senza ragione. Mi ha spiazzato da subito, lì a Cannes, per l’abilità con cui Bong Joon-ho è riuscito a conciliare istanze così diverse, forse addirittura confliggenti, mantenendo al tempo stesso l’asticella così alta. Il fatto che sia stato apprezzato in maniera così trasversale non fa peraltro che confermare il fatto che il regista sudcoreano abbia intercettato qualcosa rispetto a questo nostro tempo. Ad ogni modo, il risultato è un grado di eccellenza che raro lo è per davvero. (Link alla recensione)

Martin Eden, di Pietro Marcello: viscerale, Marcello si accosta a London in uno dei pochi modi in cui è possibile riuscirci, senza farsi in nessun caso travolgere da quella sana rabbia di fondo che generano le pagine scritte da London, e che il Martin in versione grande schermo restituisce fedele al passaggio da un mezzo all’altro. (Link alla recensione)

Noi, di Jordan Peele: mai stato un fan di Get Out, che ha avuto essenzialmente il merito (non da poco, lo riconosco), di essere stato il film giusto al momento giusto. In generale ritengo Noi più riuscito, o compiuto forse, anche nei suoi accenti volutamente più esasperati. In risposta a chi si chiedeva quanti di coloro che avevano inizialmente apprezzato lo avrebbero poi infilato nelle loro Top di fine anno. Eccolo, ce l’ho messo. (Link alla recensione)

Le Mans 66 – La grande sfida, di James Mangold: che Mangold si specializzasse in questo genere di operazioni non mi dispiacerebbe affatto. Dopo aver girato uno dei comic-movie non solo migliori ma pure più sensati di sempre (Logan), applica con intelligenza una formula analoga a una storia che andava raccontata. Il suo è classicismo che trovo rinvigorente. (Link alla recensione)

Climax, di Gaspar Noé: il film che mi ha riconciliato con questo regista (chissà per quanto ancora), dopo avermi sbattuto e tormentato per circa un’ora e mezza di delirio attraverso una giostra intrisa di cinema, sperimentazione e finanche gioia nel girare, per quanto avvelenata e morbosa sia la vicenda che tratteggia. (Link alla recensione)

Storia di un matrimonio, di Noah Baumbach: deve fare male, ma una volta tanto accade non perché mossi da un intento così becero, bensì in ragione della vicinanza del regista a una storia che non sarà reale, ma di sicuro è vera. Mi vengono in mente svariati motivi per cui una parabola del genere, oggi, non dovrebbe funzionare; dubbi fugati dal modo in cui Baumbach ci si barcamena al suo interno. (Link alla recensione)

The Irishman, di Martin Scorsese: forse addirittura l’horror dell’anno. Non so quanti oggi siano in grado di ragionare su sé stessi, di pari passo ottemperando alla necessità di rivolgersi a un pubblico ampio. Posto che questo, così come Silence, sono parentesi più contemplative, e che perciò, di base, si prestano meno a darsi come invece accade con la maggior parte dei film del regista italo-americano. (Link alla recensione)

Benvenuti a Marwen, di Robert Zemeckis: uscito proprio all’inizio dell’anno, subito derubricato ad ennesimo tonfo di Zemeckis. Attraverso una storia così particolare, al contrario, ho l’impressione che il nostro sia riuscito a dire le cose più sensate su svariati argomenti à la page, confermando il suo status di cineasta che riesce a disseminare i suoi film «per tutti» di segni e significati, mediante un lavoro inesauto sulla tecnica e sul linguaggio. (Link alla recensione)

I figli del mare, di Ayumu Watanabe: stratificato e spettacolare, m’aspettavo che l’anime dell’anno potesse essere Weathering With You di Makoto Shinkai, mentre mi sono dovuto arrendere a questo gioiello di Watanabe, una fiaba contemporanea dall’appeal nipponico, certo, ma dalla portata universale.

Il corriere – The Mule, di Clint Eastwood: sopra ho alluso all’impronta classica dell’ultimo lavoro di Mangold. Ma se c’è uno che in tal senso è maestro, beh, Eastwood di rivali quasi non ne ha. Quando questo suo impeto alla verosimiglianza si lega davvero con la macchina industriale di cui dispone, non ce n’è per nessuno. Fin qui, dopo Gran Torino, gli era riuscito solo con Sully, altro film ingiustamente sottovalutato. (Link alla recensione)