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Stasera in tv: “Lo chiamavano Jeeg Robot” su Rai 3

Rai 3 stasera propone “Lo chiamavano Jeeg Robot”, film drammatico del 2015 diretto da Gabriele Mainetti e interpretato da Claudio Santamaria, Ilenia Pastorelli, Luca Marinelli e Stefano Ambrogi.

pubblicato 15 Marzo 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 20:36

[Per visionare il trailer clicca sull’immagine in alto]

 

Cast e personaggi

Claudio Santamaria: Enzo Ceccotti / Jeeg Robot
Ilenia Pastorelli: Alessia
Luca Marinelli: Fabio Cannizzaro / Zingaro
Stefano Ambrogi: Sergio
Maurizio Tesei: Riccardo “Biondo”
Francesco Formichetti: Sperma
Daniele Trombetti: Tazzina
Joel Sy: Claudietto
Antonia Truppo: Nunzia Lo Cosimo
Gianluca Di Gennaro: Antonio
Salvatore Esposito: Vincenzo
Juana Jimenez: Marcellone
Giampaolo Crescenzio: Pinocchio
Tommaso Di Carlo: Efeso

 

La trama

 

L’Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) di Lo chiamavano Jeeg Robot è un solitario, un ladruncolo che vive una vita squallida in una borgata romana e che un bel giorno, dopo essere entrato in contatto con liquami radioattivi, scopre di possedere superpoteri in puro stile “fumetto”, vedi il fattore rigenerante e la forza sovrumana del mutante Wolverine. Enzo però non è un eroe e quindi sfrutta i suoi poteri per delinquere e diventa noto sui media come il “Supercriminale”. Ad instradare Enzo verso un destino da supereroe ci penserà una ragazza traumatizzata (Ilenia Pastorelli) di cui Enzo s’innamorerà e che lo ribattezzerà “Jeeg Robot” come il celebre mecha giapponese. Il percorso di Enzo per diventare un supereroe sarà lastricato di violenza, sangue e dolore e vedrà anche la nascita di una immancabile nemesi, lo Zingaro di Luca Marinelli una sorta di rivisitazione del “Joker” da Romanzo criminale.

 

Il nostro commento

 

Guardando Lo chiamavano Jeeg Robot dell’esordiente Gabriele Mainetti si coglie un divertente e divertito mash-up di riferimenti al cinema di genere, ai fumetti e agli amati cartoni giapponesi degli anni ’80. Questo  frullatone “pop” miscelato con arguzia da Mainetti funziona quasi in toto, se non per piccole sbavature ed eccessi dovuti all’inesperienza, tutta italiana, nel maneggiare non solo la mitologia supereroistica, ma il cinema di genere fantastico più in generale.

Abbiamo definito Lo chiamavano Jeeg Robot un “frullatone” perché Mainetti ha creato un suo immaginario personale metabolizzandone uno già esistente. Si parte con riferimenti cinematografici a film americani basati su racconti di origine di stampo supereroistico e iperrealista, vedi Chronicle di Josh Trank e Unbreakable – Il predestinato di M. Night Shyamalan, per poi citare fumetti iconici come Spider-Man, Superman e Batman aggiungendovi infine elementi da fiction televisiva di ultima generazione, vedi serie tv come Romanzo criminale e Gomorra. A completare il tutto un fil-rouge che omaggia quella che viene definita la “Generazione Bim Bum Bam” con uno dei personaggi / robot più rappresentativi dell’animazione giapponese, il Jeeg Robot d’acciaio creato dal mangaka Go Nagai papà anche di Mazinga Z, Il grande Mazinga e Goldrake.

Alla sua uscita una critica un tantino troppo entusiasta ha gridato per l’ennesima volta alla “rinascita” del cinema italiano di genere (quanto volte l’abbiamo già sentito…), ma “Lo chiamavano Jeeg Robot” come da copione si è rivelato più una “promessa” che una svolta vera e propria per il cinema nostrano e oggi, a quattro anni dalla sua uscita nelle sale, il film di Mainetti resta un intrigante ma isolato tentativo di “mutazione” del nostro cinema, purtroppo ancora disperatamente ancorato ad una concezione di narrazione sempre e comunque legata al “sociale” e alla “politica”, una zavorra che ha letteralmente affondato il cinema di genere italiano lasciando che a fagocitarlo fosse la televisione. Oltre a questo elemento assolutamente da “svecchiare”, c’è anche una evidente difficoltà dei nostri autori nel maneggiare materiale di stampo fantastico, a questo proposito vi segnaliamo due esempi molto recenti: il mediocre Il ragazzo invisibile 2 di Gabriele Salvatores e il deludente La Befana vien di notte di Michele Soavi.

 

 

Note di regia

 

Perché proprio un “Supereroe italiano”? Perché se è vero che, guardandoci indietro, non scorgiamo uno storico fumettistico in cui personaggi mascherati si sfidano a suon di super poteri per decidere il destino del mondo, è altrettanto vero che, a queste storie, non siamo insensibili. Da amante dei generi penso che quello supereroistico rappresenti la sfida più complessa e pericolosa. Fare un buon film per me, significa raccontare con originalità. E quando ti avventuri in un genere che non ti è proprio, il rischio di scadere in un’imitazione è dietro l’angolo . È per questo che non abbiamo voluto raccontare le avventure di un superuomo in calzamaglia. Non avremmo avuto il tempo necessario per aiutare lo spettatore a sospendere l’incredulità. Dovevamo perciò convincerlo a credere dall’inizio. Come? Con le verità che ci appartengono, tangibili in personaggi ricchi di fragilità, che spero riescano a trascinare per mano lo spettatore in un film che, lentamente, si snoda in una favola urbana fatta di superpoteri. [Gabriele Mainetti]