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Pantafa, recensione in anteprima: Emanuele Scaringi confeziona un folk-horror dalle inquietanti venature psicologiche

Leggi la recensione in anteprima di Blogo del film horror “Pantafa” di Emanuele Scaringi con Kasia Smutniak e Greta Santi – Al cinema dal 30 marzo.

pubblicato 29 Marzo 2023 aggiornato 30 Marzo 2023 12:11

La Pantafa nell’immaginario è una leggenda popolare, una creatura che si siede sul petto e durante il sonno ruba il respiro, trasposta nel mondo reale sembrerebbe un modo in cui il folklore filtra la realtà per raccontare i sintomi di un disturbo del sonno noto come paralisi del sonno o paralisi ipnagogica, una sorta di attacco di panico che avviene durante la fase onirica della fase REM e può creare allucinazioni, anche terrificanti. A questo proposito vi segnaliamo un documentario, The Nightmare, in cui il regista Rodney Ascher (Room 237) approccia casi di paralisi del sonno narrandoli come delle storie horror, con un effetto straniante e inquietante che abbiamo in parte ritrovato nel “Pantafa” del regista Emanuele Scaringi in uscita nelle sale a partire dal 30 marzo con Fandango.

La Pantafa del film di Scaringi non è solo una leggenda popolare, ma è l’incarnazione di un malessere psicologico che in questo caso colpisce una madre, interpretata da una intensa Kasia Smutniak, che inconsciamente mina il proprio istinto materno veicolando al contempo i sensi di colpa di una donna la cui vita è stata irrevocabilmente cambiata/stravolta dall’essere diventata madre prima e donna single in seguito; poi costretta dagli eventi ad interpretare il ruolo di donna forte e indipendente che ad un certo punto non riesce più a nascondere una grande e soverchiante fragilità di fondo.

Kasia Smutniak è Marta, una madre single che si trasferisce insieme a sua figlia Nina (Greta Santi) a Malanotte, un piccolo paese di montagna. dopo una prima fase bucolica e di connessione con la natura sorgono i primi problemi, man mano che Marta entra in contatto con gli altri abitanti del paese si sente sempre più corpo estraneo in un microcosmo che vive di riti quotidiani e di antiche credenze popolari che resistono ancora indenni all’avanzare della modernità e della tecnologia,

Nina è una bambina inquieta, da qualche tempo soffre di paralisi ipnagogiche, un disturbo del sonno che provoca apnee notturne e può portare ad avere stati allucinatori; purtroppo l’atmosfera che si respira nella nuova casa e il crescente nervosismo della madre non aiutano la condizione di Nina. Nonostante le evidenti difficoltà, Marta è convinta di poter gestire un’attività agricola quindi intende rendere il trasferimento a Malanotte permanente.  In suo aiuto arriveranno la rude ma materna Orsa (Betti Pedrazzi), che si occuperà di Nina quando Marta è al lavoro nei campi, e Andrea (Mario Sgueglia) un uomo del posto che aiuterà Marta con alcuni lavoretti necessari al casolare in cui Marta vive con la figlia, e diventerà anche una valvola di sfogo per una parte di sé che Marta sembra aver sacrificato sino a quel momento, l’essere donna prima che madre.

Purtroppo i sintomi di Nina cominciano a peggiorare già dal primo sonno notturno in quel luogo, la bambina è preda di incubi sempre più vividi e angoscianti in cui una figura spettrale le si siede sul petto, la immobilizza e le ruba il respiro. Ma se la madre cerca di scacciare via quelle visioni angoscianti liquidandole come incubi, Orsa spiegherà a Nina chi è realmente quella presenza nefasta e le fornirà alcuni strumenti necessari a tenerla lontana; ma la Pantafa incombe sul paese come una maledizione, la strega ha promesso che nonostante tutto ciò che sarà tentato, nessuno potrà impedirle di avere per sé tutti i bambini di Malanotte, Nina inclusa.

Il genere horror in territorio italico non solo viene regolarmente snobbato dalla critica, ma anche i registi tendono a non approcciarsi a questo genere un po’ per partito preso, ma anche perché considerano il genere materia prima immaginifica non semplice da gestire. Emanuele Scaringi evidentemente non ha preconcetti riguardo al genere già aveva dimostrato un certo coraggio adattando per il grande schermo Zerocalcare e il suo fumetto di culto La profezia dell’Armadillo, operazione che è riuscita nel rendere fruibile ed accessibile a tutti materiale di un autore con la propria distintiva fetta di agguerriti cultori e fan puristi. Scaringi ha poi esplorato con successo, insieme al collega Daniele Vicari, il noir adattando per il piccolo schermo i romanzi della “Saga dell’Alligatore” di Massimo Carlotto e infine realizzato con Phaim Bhuiyan la spassosa serie tv Bangla basata sull’omonimo film di Bhuiyan, sulle vicissitudini di un giovane bangladese/romano alle prese con l’amore, il sesso e i conflitti religiosi di un musulmano in quel di Torpignattara.

Scaringi sembra aver compreso appieno le potenzialità orrorifiche di quella dimensione onirica che durante la fase REM diventa oscura terra di confine tra semi-veglia e sonno profondo; misterioso punto di accesso a parti del nostro inconscio in grado di generare mostri oppure chissà di aprire varchi su dimensioni altre, da cui scaturiscono incubi in grado di terrorizzarci e paralizzarci in un frangente di grande fragilità come quello del sonno. La Pantafa di Scaringi assume così la doppia veste di grande fragilità psicologica e inquietante creatura da incubo; quando madre e figlia fuggono dalla città e arrivano in questo piccolo paesino abruzzese e come se attraversassero un confine e risvegliassero arcaiche paure che i ritmi frenetici della città e la tecnologia avevano sino a quel momento imbrigliato e interiorizzato; il ritorno a luoghi in cui folklore e tradizioni antiche ancora hanno il loro spazio e riti propiziatori e antiche leggende si tramandano per generazioni, hanno definitivamente liberato quelle paure, arrivando a dargli una forma e un nome.

Grazie ad un cast dedito, su cui spicca una sorprendente Greta Santi, e un’ambientazione suggestiva, davvero ben fotografata da Simone D’Onofrio, Scaringi maneggia e scandisce con dovizia la tensione, in un crescendo di trovate visive particolarmente efficaci. “Pantafa” si rivela così un intrigante mix di folk-horror e thriller psicologico che culmina con un finale per nulla banale che regala spunti di riflessione sul come ricacciare nell’oscurità demoni spesso creati dalle nostre più ataviche paure, ma anche a rispettare folklore e tradizioni che nella loro ancestrale fascinazione celano i segreti di un passato che, volenti o nolenti, ci portiamo dentro un po’ tutti e che rappresenta le nostre radici più profonde.

Foto: Christian Nosel

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