Home Recensioni Venezia 2016: voti e commento conclusivo sui film e sul Festival

Venezia 2016: voti e commento conclusivo sui film e sul Festival

Festival di Venezia 2016: tra nuovo e vecchio, una Mostra che cambia pelle pur tentando di rimanere fedele a sé stessa. L’edizione numero 73 potrebbe essere ricordata come quella di transizione, un passaggio che potrebbe richiedersi svariati anni per concretizzarsi

pubblicato 12 Settembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 05:53

Ci aspettavamo sorprese e sorprese sono state. Ma per introdurre questo breve pezzo riepilogativo di ciò che è stata l’edizione numero 73 della Mostra del Cinema di Venezia partirei dall’inizio. Da quella Sala Giardino che, malgrado le défaillance della prima proiezione (file di sedie che si staccavano dal terreno), ha contribuito ad un colpo d’occhio notevole: via il buco, la zona antistante il palazzo del Festival ha guadagnato parecchio. Piaccia o meno, un Festival, specie Venezia, ha bisogno anche di certe cose – inammissibile nel 2016 avere un cantiere aperto, tanto più per svariate edizioni.

A quanto pare però contano i film, e noi quelli vi abbiamo raccontato. È stata un’edizione strana, che stando ai numeri si può dire riuscita: +16,75% di biglietti venduti, +10,63% gli abbonamenti rispetto al 2015, a dimostrazione che quanto scrivemmo in occasione della conferenza di presentazione della selezione ufficiale non fosse poi così infondato. Le ultime due edizioni in particolar modo sono state da più parti, e a più riprese, tacciate di voler tagliare fuori il grande pubblico, di essersi ripiegate sin troppo in quella critica ostinata e stantia che effettivamente ancora è dura a morire, malgrado le sue fila siano oramai sfiancate. Personalmente non ho mai taciuto a dire il vero la mia adesione al nuovo corso Barbera, sebbene sono rimasto contrariato da Palmares che troppo hanno penalizzato, ed ingiustamente, gli americani intervenuti. Quest’anno lo spartito è stato diverso, e ben tre film americani, di cui uno diretto da uno straniero (Jackie), se ne sono tornati a casa con un riconoscimento in tasca. In più va menzionata l’attenzione da un lato all’ineludibile fenomeno delle serie TV, che semmai arriva pure in ritardo; tant’è che The Young Pope promette faville. Dall’altro ho avuto l’impressione di partecipare ad un momento a suo modo storico prendendo parte alla seduta (questo è sembrato) di virtual reality, su cui ripongo una prudente fiducia, più lato videogiochi che cinema, ma le applicazioni in relazione alla Settima Arte sono sulla carta illimitate. Certo, a Jesus VR: The Story of Christ è bene guardare più come a una demo che altro, poiché tolto lo stupore per il ricorso alla nuova tecnologia, sotto tutti gli altri aspetti mi è parsa una produzione alquanto scadente.

Ma è proprio alla base che questo Festival si è mostrato in continuità ma diverso; proprio la Sala Giardino ha voluto per così dire riavvicinare quel pubblico che oramai stava pericolosamente perdendo fiducia nella Mostra. Va altresì ricordato che costruire un programma è un’impresa tremenda, in cui sono in gioco una miriade di variabili: metti che quell’anno Cannes ha fatto man bassa, oppure che la major di turno si rifiuta di venire perché tanto ci sono Toronto e New York dietro l’angolo, che il film del rinomato regista Tizio non è ancora pronto (Barbera si disse amareggiato, per esempio, per non essere riuscito a portare Silence di Martin Scorsese, che semplicemente non era ancora pronto pare). Non dobbiamo difendere nessuno, sia perché chi di dovere non ne ha bisogno, sia perché non è questo il nostro lavoro. Ma davvero, a chi si è lasciato andare a commenti caustici ed argomentazioni piccate, consiglieremmo di valutare meglio la complessità del processo e mostrarsi più cauti (lo so… parole al vento nell’epoca dei social). Poi certo, è tutto un gioco, e ci sta che alla fine si prendano posizioni nette, né tantomeno bisogna farsi calare a forza ciò che non va. Solo, ecco, troppa approssimazione in certi commenti, anche da parte di personalità con un certo seguito, che alla sana ironia mi pare non abbiano voluto (saputo?) opporre un’analisi più circostanziata.

Torniamo ai film, però, avete ragione. Il Leone d’Oro a Lav Diaz tutto mi pare fuorché scandaloso, pazienza per chi col regista filippino non ci va proprio d’accordo: The Woman Who Left è un vangelo secondo Lav Diaz, con una narrazione più forte e dunque maggiormente percepibile rispetto a tanti altri suoi lavori. Il bello è che questo suo ultimo film ha scontentato proprio tutti: i detrattori, perché, a quanto pare, le lunghe inquadrature le trovano inutili e sequestranti, come sempre con Diaz; a certi fan invece non è proprio andato giù che stavolta si strizzasse maggiormente l’occhio al pubblico, per quanto possa questo essere vero con Lav Diaz. Quello che non vi hanno detto è che il nostro continua a raccontare il proprio Paese con un amore ed un dolore assieme a cui non si può restare indifferenti e da cui, magari, potremmo e dovremmo imparare qualcosa noi italiani. Non c’è film in cui Lav Diaz non approfondisca uno o più aspetti delle Filippine ed in fin dei conti forse si apprezza più questa sua ostinata testardaggine che i contenuti in sé, data la distanza tra noi e le vicende su cui si sofferma. Si è addirittura parlato di “utilità” nell’assegnare il Leone d’Oro ad un film che il pubblico non vedrà mai, la quale argomentazione ha già più senso, tanto da meritare qualche breve considerazione.

Non so, al di là dei gusti e delle preferenze, quali logiche e motivazioni spingano una Giuria a destinare un premio ad un film piuttosto che ad un altro. Stando però alla logica del ragionamento di cui sopra, non vedrei allora perché i Festival dovrebbero promuovere film che non ne hanno di bisogno, come per l’appunto certe produzioni hollywoodiane: queste tanto in sala ci arriveranno comunque, in tante copie, ed incasseranno la loro parte, più o meno rispetto a quanto preventivato, ma comunque una fetta non indifferente. Mi sembra più sensato, sempre per assecondare la logica di cui sopra, dare spazio proprio a quei film che il pubblico non vedrebbe mai. Certo, il rischio è che non li veda comunque, con o senza Leone d’Oro, ma almeno il titolo gli è arrivato e a quel punto, dopo aver reperito qualche altra informazione, potrà decidere se passare ugualmente oppure farci un giro. No, più semplicemente ad un Festival, specie uno che ha come dicitura Mostra d’Arte Cinematografica, ha il dovere di premiare i film migliori, ai quali si riconosce un merito, per l’appunto artistico, superiore agli altri concorrenti, senza star lì a ragionare su distribuzione et similia, ché quello è un altro mestiere. Chiaramente si possono prendere cantonate, e la storia recente c’insegna che ne sono state prese di pesanti; ma l’Arte non è matematica o scienza in generale, perciò di cosa stiamo parlando? Guai a una Giuria che si permetta di non premiare un film solo perché “commerciale”, preferendogliene uno magari più modesto purché “da Festival”: bisogna mettersi in testa che l’unica distinzione significativa è tra film belli e film brutti. Genere, filone, appartenenza e quant’altro rilevano in un secondo momento, e giusto per il singolo, che così può orientarsi secondo le proprie predisposizioni e preferenze. Il resto sono chiacchiere, aria e polvere.

Andiamo agli italiani. Non abbiamo infatti compreso l’inserimento in Concorso di film come Piuma e Questi giorni. Nel caso del film di Roan Johnson, una discreta commedia di stampo favolistico che però diverte ed intrattiene, ritengo si sia fatto male al film non presentarlo in altre sezioni, magari Orizzonti: troppa pressione su un film così piccolino e vistosamente a disagio tra i grandi. Per quanto riguardo il film di Piccioni, il problema è un altro, ossia che il progetto avrebbe anche potuto starci in Concorso, a patto di non essere il fin troppo modesto film che è. Spira Mirabilis, pur essendosi rivelato non all’altezza delle proprie ambizioni, mi pare invece adatto in ogni caso, costituendo un rischio che è valsa la pena correre. Certo è che l’Italia ne esce, come ahinoi preventivabile, alquanto ridimensionata.

Ad ogni modo sono due i premi che davvero non condivido e che mi lasciano perplesso, cioè quelli conferiti ad Escalante ed alla Amirpour. Degli alieni che copulano con i messicani non so che farmene malgrado qualche intuizione felice; è proprio un’idea di cinema che mi trova freddo e distante. The Bad Batch, al contrario, aveva le carte in regola per farmi impazzire, ma evidentemente la regista americana di origini iraniane non era ancora pronta per un lavoro di questa portata. Alla fine chi vince ha sempre ragione, mi dicono, ma davvero il Premio Speciale della Giuria poteva essere speso meglio. Tutti gli altri, chi più chi meno, non fanno gridare allo scandalo. Ammetto che la sceneggiatura a Jackie mi sa più di contentino che altro, quando potenzialmente sarebbe stato meglio in qualsiasi degli altri slot, specie Coppa Volpi femminile, Gran Premio e regia; sta di fatto che Pablo Larrain rimane, come abbiamo ripetuto a più riprese, uno dei migliori su piazza, con o senza statuetta. Dignitosissimo invece il Premio Mastroianni ad una Paula Beer di cui sentiremo senz’altro parlare in futuro.

Quanto al Concorso, le ultime parole vorrei spenderle su due/tre film di cui si è discusso poco. Anzitutto Arrival, passato in sordina ma che è un film di fantascienza notevole, il più convenzionale di Villeneuve insieme a Prisoners, che ad ogni buon conto mi porterò comunque da questo Festival. Ci sta che non sia andato a premi, quantunque la Adams… beh, però questo è uno di quei film che è bello avere e che impreziosiscono un Concorso. Su On the Milky Road si dice peste e corna già da prima dell’esclusione a Cannes, e quando Kusturica ebbe a dire che il suo film fu scartato da Fremaux per via dell’appoggio del regista serbo a Putin sinceramente mi parve un modo poco elegante di incassare il colpo, epperò va detto che il film non è affatto quella sozzeria a cui si è alluso nei mesi scorsi, nient’affatto. Anzi, la prima mezz’ora è addirittura bellissima, movimentata, puro Kusturica (con un falchetto danzereccio irresistibile); non fosse per una lunga ed estenuante parte centrale che cambia pelle al film, avremmo addirittura avuto tra le mani un’opera da premiare. Ultimo ma non meno importante, Terrence Malick. Qui addirittura, tra il serio e il faceto, è stata scomodata la psicologia per definire coloro a cui è piaciuto Voyage of Time dei complessati, piccoli, affetti da preoccupante timore reverenziale per il regista. Stupidaggini a parte, che non piaccia questo Malick è comprensibile; a ben vedere non è piaciuto manco a me che l’ho sinceramente apprezzato. Mi spiego. 90 minuti non bastano nemmeno per introdurci all’idea che Malick intende sottoporci, perciò Voyage of Time sarebbe stato un signor progetto qualora si fosse dispiegato nemmeno in tre ore (come ho scritto nei giorni scorsi), bensì in dieci, trasformandolo in una serie TV da dieci puntate. Pazienza per l’IMAX, che appoggio da sempre in maniera incondizionata: questo progetto è talmente affascinante, ambizioso, pregno, che meritava un trattamento del genere. Che poi dove molti vedono immagini montate ad fallum canis io, al contrario, colga un lirismo unico e travolgente, beh, anche questo è il bello del cinema.

Prima dei voti a tutti i film veduti, qualche menzione piluccando dalle sezioni parallele. Liberami, vincitore in Orizzonti, è un documentario intelligente e al tempo stesso spassoso; ancora più sorridere vi farà sapere che tratta di esorcismi. Il vincitore in Settimana della Critica, il colombiano Los Nadies, girato in una settimana con 2000 dollari a quanto si dice, propone un lavoro a cavallo tra documentario e finzione sulla scena punk di Medellin a cui però manca del tutto o quasi una scrittura, e si vede. In generale ottimi i documentari visti al Festival, che vi segnalo di seguito in ordine di preferenza: One More Time With Feeling, David Lynch: The Art Life, American Anarchist e I Called Him Morgan. A questo gruppo aggiungerei pure King of the Belgians, sebbene si tratti di un finto documentario ma che ho amato pressoché in ogni sua componente. Così si chiude il mio Festival.

Film in Concorso

La La Land, regia di Damien Chazelle – voto 7.5
The Bad Batch, regia di Ana Lily Amirpour – voto 5
Une vie, regia di Stéphane Brizé – voto 7
La luce sugli oceani, regia di Derek Cianfrance – voto 6
El ciudadano ilustre, regia di Mariano Cohn – voto 7.5
Spira mirabilis, regia di Massimo d’Anolfi e Martina Parenti – voto 5
The Woman Who Left, regia di Lav Diaz – voto 9
La región salvaje, regia di Amat Escalante – voto 3
Animali notturni, regia di Tom Ford – voto 6.5
Piuma, regia di Roan Johnson – voto 6
Paradise, regia di Andrei Konchalovsky – voto 7
Brimstone, regia di Martin Koolhoven – voto 4
On the Milky Road, regia di Emir Kusturica – voto 6.5
Jackie, regia di Pablo Larraín – voto 9
Voyage of Time, regia di Terrence Malick – voto 8
El Cristo Ciego, regia di Christopher Murray – voto 6
Frantz, regia di François Ozon – voto 8
Questi giorni, regia di Giuseppe Piccioni – voto 3
Arrival, regia di Denis Villeneuve – voto 8
Les Beaux Jours d’Aranjuez, regia di Wim Wenders – voto 4

Film fuori concorso

I magnifici 7, regia di Antoine Fuqua – voto 5
Hacksaw Ridge, regia di Mel Gibson – voto 6
À jamais, regia di Benoît Jacquot – voto 2
Gantz:O, regia di Yasushi Kawamura – voto 5
The Young Pope, regia di Paolo Sorrentino – voto 8
The Bleeder, regia di Philippe Falardeau – voto 5
The Journey, regia di Nick Hamm – voto 3
One More Time With Feeling 3D, regia di Andrew Dominik – voto 8
Monte, regia di Amir Naderi – voto 5
Planetarium, regia di Rebecca Zlotowski – voto 5
American Anarchist, regia di Charlie Siskel – voto 8
I Called Him Morgan – voto 8

Orizzonti

King of the Belgians, regia di Peter Brosens e Jessica Woodworth – voto 8.5
Liberami, regia di Federica Di Giacomo – voto 7 (Vincitore)
The Net, regia di Kim ki-duk – voto 7
Home, regia di Fien Troch – Voto 7
São Jorge, regia di Marco Martins – voto 6
Gukoroku – Traces of Sin, regia di Kei Ishikawa – voto 6
White Sun, regia di Deepak Rauniyar – voto 7
Safari, regia di Ulrich Seidl – voto 6

Cinema nel Giardino

Dark Night, regia di Tim Sutton – voto 8

Settimana della Critica

Los Nadies, regia di Juan Sebastián Mesa – voto 5 (Vincitore)
Prank, regia di Vincent Biron – voto 6.5

Venezia Classici

David Lynch: The Art Life, regia di Jon Nguyen, Neergaard Holm e Rick Barnes – voto 8
Zombi (European Cut), regia di George A. Romero – voto 10