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Don’t Look At The Demon, recensione: godibile horror sovrannaturale tra possessioni e disturbanti rituali proibiti

La nostra recensione di Don’t Look At The Demon, l’horror sovrannaturale malese del regista Brando Lee, nei cinema italani dal 17 agosto con 102 Distribution.

16 Agosto 2023 19:47

Don’t Look At The Demon, dal 17 agosto arriva nelle sale italiane con 102 Distribution questo intrigante horror sovrannaturale di produzione malese, diretto con estrema “eleganza” e mano sicura da Brando Lee, regista di Kuala Lumpur cresciuto a pane e cinema americano anni settanta, con classici come Lo squalo e L’esorcista.

Visto l’impianto del film, il regista Brando Lee potrebbe facilmente avere tra i suoi gusti anche il cinema horror italiano di fine anni ottanta, poiché “Don’t Look At The Demon” ha quel sapore tipicamente “artigianale” di pellicole made in Italy come il filone non ufficiale “La Casa”,  la trilogia diretta da Umberto Lenzi (La Casa 3 – Ghosthouse), Fabrizio Laurenti (La Casa 4 – Witchery) e Claudio Fragasso (La Casa 5 – Ghosthouse). Parliamo degli anni settanta e ottanta, tempi d’oro per il cinema di genere italiano, quando si giravano oltreoceano e in lingua inglese quelli che oggi negli Stati Uniti sono considerati dei cult. A questo proposito vi consigliamo di rispolverare “La Casa 4” di Laurenti che vede protagonisti il David Hasselhoff di Supercar e Baywatch e la Linda Blair de L’esorcista.

“Don’t Look at the Demon” ci porta al seguito di una troupe di un show televisivo che “indaga” sul paranormale guidata dalla tormentata medium Jules che nasconde un passato traumatico. Jules è interpretata da una intensa e credibile Fiona Dourif, figlia di Brad Dourif, attore e iconica voce di Chucky, vista proprio nel franchise La bambola assassina, in due lungometraggi (La maledizione di Chucky, Il culto di Chucky) e nella nuova serie tv. La troupe fa visita alla bella casa di una coppia senza figli che li ha chiamati poiché un’entità malevola, che infesta la villa, li starebbe minacciando. Jules in principio appare alquanto incredula, ma poi dopo un primo terrificante contatto, l’intera squadra e i padroni di casa sprofonderanno in un incubo di violenza, possessioni e disturbanti rituali di magia nera, che avvertiamo potrebbero urtare i più sensibili poiché coinvolgono feti umani.

Il regista Brando Lee dimostra subito una tecnica sopraffina, la macchina da presa si muove sicura e accompagna lo spettatore di scena in scena, alla stregua di solerte testimone silenzioso, costruendo una bella tensione. L’idea di utilizzare la CGI al minimo sindacale e puntare su effetti pratici risulta vincente e regala al film quell’intrigante aria “retró” a cui abbiamo accennato poc’anzi; a cui fa da contraltare tutta la parte visiva legata alla moderna attrezzatura della troupe, che testimonierà i terrificanti eventi con riprese “live”. La trama da questo punto di vista rievoca classici come PoltergeistL’evocazione – The Cojuring e tutto il filone “Case Infestate” con medium che arriva nel finale a salvare la situazione (“…questa casa ora è libera”); in questo particolare caso trattasi di un monaco che eseguirà un esorcismo, rituale che il regista ha voluto, parole sue, ricostruire nella maniera più fedele e realistica possibile.

Altro fattore di fascinazione per “Don’t Look At The Demon” è l’elemento “storia vera”, il regista Brando Lee ha romanzato esperienza reali vissute da bambino con la madre nella loro casa infestata da entità piuttosto rumorose, a questo si aggiunge l’ambito “esotico” con tutta una serie di input mistici e le performance degli attori che ce la mettono davvero tutta per rendere la messinscena credibile e coinvolgente. Oltre alla brava Fiona Dourif cuore pulsante del film, menzioni speciali per Harris Dickinson che interpreta il posseduto Ben, con una performance fisica davvero notevole, e l’attrice svedese Malin Crépin che interpreta Martha, la padrona di casa che subisce l’ira funesta dello spirito maligno con conseguenze devastanti.

Unica nota dolente di “Don’t Look At The Demon”, se così la possiamo definire, è il mettere come si suol dire un po’ troppa carne al fuoco. L’entusiasmo per il genere del regista Brando Lee è palpabile, e questo porta ad una sovrabbondanza di elementi narrativi, tutti molto interessanti, alcuni dei quali però finiscono per non essere approfonditi o per perdersi lungo la strada. Detto ciò, questa pecca non inficia minimente la capacità di “Don’t Look At The Demon” di regalare una corposa dose di brividi, che in questo periodo afoso risultano sempre graditi. Se volete approfondire sui riti descritti nel film e sulle esperienze del regista vi rimandiamo alla scheda del film.

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