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Berlino 2017: voti e considerazioni finali

Tiriamo le somme sull’edizione numero 67 della Berlinale, tenutasi dal 9 al 19 febbraio 2017

pubblicato 22 Febbraio 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:31

Una volta tanto vorremmo non partire dalla fine, dal legittimo responso di una Giuria che ad ogni Festival deve tenere conto di istanze, gusti, compromessi e quant’altro. L’Orso d’Oro non sarà andato al film migliore, è vero, ma a Berlino vigono certi requisiti per uscirne fuori da lì con un premio, peraltro nemmeno troppo taciuti; su tutti, l’essere in linea con le battaglie sociali più à la page, un criterio che non di rado precede valutazioni di altro tipo. Capita che la qualità di un film si collochi sul medesimo livello della sua “utilità” in questo senso, ed allora siamo tutti più contenti, ma questo non accade spesso, e di certo non è avvenuto quest’anno. On Body and Soul è un buon film, intendiamoci, e personalmente mi sento finanche sollevato dal suo primo posto, ché il rischio era di vedersi Spoor (Pokot) della Holland con uno sfacciato Orso d’Oro. Insomma, avremmo voluto non partire dalla fine, ma è successo comunque.

Adesso però prendiamo il volo ed inoltriamoci in una sommaria panoramica di quel che è stato il Concorso in questa Berlinale 2017; un Concorso che si è lievemente ripreso sul finire, senza comunque eccellere in nessun caso. È chiaro che il film che stacca tutti gli altri, anche se per poco, è il rumeno Ana, mon amour, il migliore, solo che Netzer se l’era già portato a casa l’ultima volta l’Orso più ambito, perciò era dura. Malgrado questo, la storia di Toma e Ana è fra le poche cose che resteranno di questa edizione, ed il riconoscimento artistico per il montaggio in sede di Palmarés ci sta ma non dice abbastanza. Prevedibile l’esclusione di Mr. Long, che quantomeno si è avuto il buon senso di mettere in Concorso; operazione più sofisticata di quella che sembra, con personaggi giusti, a cavallo tra i generi. Solo che, appunto, un film che parla di un hitman e di come torna ad essere una persona non è certo roba che attrae tanto quanto una bizzocca che va per boschi a parlare con gli insetti ed ammazzare cacciatori – e questo è Pokot, che si è beccato un premio per le prospettive future, e temo che tale scelta abbia un suo perché.

Ad ogni Festival, come sistematicamente finiamo col constatare, c’è un fil rouge, più o meno sottile, che in qualche modo collega più opere; è stato così anche quest’anno. Cosa tiene insieme infatti film come Logan (Fuori Concorso), Bye Bye Berlin, The Lost City of Z (Berlinale Special) On the Beach at Night Alone, Helle Nachte, Colo, Mr. Long, Joaquim (Concorso), Fra Balkongen (Panorama), Werewolf, Three Lights, The Tokyo Night Sky Is Always the Densest Shade of Blue (Forum) se non lo spasmodico desiderio di trovare un posto? Un posto nel mondo, in mezzo agli altri, rispetto a sé stessi, il significato comprende la geografia ma anche la trascende. Dovessi infatti scegliere una sequenza che faccia da sfondo a questa Berlinale, sceglierei certamente il giocoso finale di Fra Balkongen, uno dei mashup più divertenti nell’epoca post-YouTube, con un cuore e un’anima nonché uno dei rari exploit di questa Berlinale: un puntino, il mondo, che vaga per l’universo sulle note di You’re My Heart, You’re My Soul. Categorie quali “finzione” e “documentario” diventano di anno in anno sempre più strette, ma soprattutto fuorvianti.

Si è finito a sconfinare dal Concorso ma è inevitabile, perché le cose più interessanti si sono trovate nelle cosiddette sezioni minori, con le quali a Berlino è dura stare al passo se si vuole al contempo seguire la situazione tra i contendenti all’Orso d’Oro. Appena in tempo abbiamo per esempio acciuffato I’m Not Your Negro, documentario candidato agli Oscar che rischia di farvi seriamente ripensare la questione razziale del secondo ‘900 americano, e Call Me By Your Name di Luca Guadagnino, che è il suo film migliore fino ad ora, come se tutto ciò che è venuto prima fosse consistito per lo più in un esercizio finalizzato a questo suo ultimo lavoro: l’eleganza e lo sfarzo esasperato di un incantevole Lombardia degli anni ’80 fanno da sfondo alla prima sbandata di Elio per un uomo più grande di lui, che ricambia. Stavolta, a differenza di A Bigger Splash, Guadagnino indovina anche il finale.

Oltre al regista italiano, c’è un altro autore che è passato dal Sundance prima di approdare a Berlino, ossia Alex Ross Perry, il cui Golden Exits è uno dei film migliori visti a Berlino, pieno di suggestioni che lo confermano capacissimo sceneggiatore e regista, con echi che non si limitano più ad Allen, bensì spaziano verso i lidi di Bergman e Pasolini come il suo penultimo lavoro Queen of Earth, presente in Berlinale nel 2015, richiamava un po’ Polanski. Tornando a bomba sul Concorso, c’è poi piaciuta l’animazione made in China di Hao ji le (Have a Nice Day), che si rifà molto ai Coen, Tarantino ed altre paturnie postmoderne che però piacciono e sono qui integrate con criterio, mescolando alto e basso. Forse in ritardo, ok, ma pur sempre un interessante prospetto di ciò che questo Paese riesce a tirare fuori pur restando ancorato ai temi che ne tormenta di più certi artisti.

Sebastian Lelio in Una mujer fantastica racconta tutto sommato abbastanza onestamente la storia di una transgender nella Santiago del Cile odierna, cedendo giusto in due punti forse, ma restituendo la complessità di una simile fattispecie, con una protagonista notevole. Félicité non è cresciuto, laddove già all’uscita dalla proiezione stampa alcuni alludevano ad un film importante; sarà, a me pare buono quanto basta per consentire ad Alain Gomis di portarsi a casa il Gran Premio della Giuria. Il miglior attore a Georg Friederich per Helle Nachte si spiega solo in ottica di concessione alla Germania, come succede in ogni Festival, parliamoci chiaro: la vicenda Dheepan a Cannes 2015 resterà negli annali, ma anche a Venezia in tal senso non si scherza mica. A ‘sto giro peraltro la sensazione è acuita dal fatto che Friederich, che era presente in due film in Concorso, fosse meglio nell’altro, il seppur modesto Wild Mouse. Solo che quest’ultimo film è austriaco, so…

Concludo con due maestri, che sono entrati in Palmarés d’ufficio, sebbene ridimensionati rispetto ai reali valori in campo. La miglior regia ad Aki Kaurismaki sa di contentino, oltre che inutile: che bisogno ha il regista finlandese di un riconoscimento del genere quando 1. è già Kaurismaki, e 2. il suo The Other Side of Hope è uno dei tre migliori film in Concorso, che almeno il Gran Premio della Giuria meritava se proprio che proprio. L’altro che era preventivabile tra i premiati è Hong Sang-soo: qui il premio alla bella Kim Min-hee per On the Beach at Night Alone è più sensato. Il regista coreano opera da tempo delle variazioni appena percettibili tra un film e l’altro, per quanto sostanziali talvolta; ma soprattutto racconta storie, e sa come farlo, la qual cosa quasi gli preclude di fare film meno che dignitosi.

La quota nostalgia va al recupero di THX1138, esordio nel lungometraggio di George Lucas, e la versione 3D di Terminator 2, che tornerà in sala quest’estate. Film invecchiati malgrado tutto decisamente bene, ancorché per motivi diversi. Quella del primo Lucas è una fantascienza che già all’epoca non era innovazione, ma dimostra la dimestichezza del nostro in quest’ambito, e per una serie di motivi è ancora oggi credibile, tanto a livello visivo che tematico. Terminator 2, beh… è Terminator 2. Figlio del proprio tempo anche il sequel di Cameron, ma davvero è impressionante pensare che qualcosa del genere fosse possibile nel 1991 (ovvio che mi riferisco al T-1000 di Robert Patrick).

Che altro dirsi? Un altro Festival l’abbiamo messo in cassaforte, lì dove nessuno può togliercelo. Ed è sempre e comunque un’esperienza, qualcosa che consiglieremmo a chiunque, non per forza ai soli appassionati: le tre/quattro ore di sonno al giorno, l’uscire ed entrare da una sala all’altra come passare da una dimensione all’altra, da un mondo all’altro, gli incontri, le colazioni, pranzi e cene di corsa, l’accamparsi dove capita quando si hanno quei venti minuti quantomeno per impostare un pezzo che poi, otto volte su dieci, rifinirai nella notte, mentre tutti gli altri dormono ed anche a te non dispiacerebbe dare tregua ai tuoi occhi provati da una quantità incredibile d’immagini alle quali sono stati esposti, etc. E ne puoi fare quanti ne vuoi di Festival… ci sarà sempre un margine di cose estremamente utili che ti saresti irrimediabilmente perso se non avessi partecipato all’ultimo al quale sei stato.

Voti ai film

Concorso

Ana, Mon Amour – 8.5
The Other Side of Hope – 8
Mr. Long – 8
Hao ji le (Have a Nice Day) – 7.5
Una mujer fantástica – 7.5
Colo – 7.5
The Party – 7
On the Beach at Night Alone – 7
On Body and Soul – 7
Félicité – 6
Joaquim – 6
Return to Montauk – 6
The Dinner – 6
Beuys – 6
Helle Nächte – 5
Pokot – 4
Wild Mouse – 4
Django – 4

Fuori Concorso

Final Portrait – 6
Viceroy’s House – 5
El Bar – 5
Logan – 8

Berlinale Special

The Lost City of Z – 8
Le Jeune Karl Marx – 5
Bye Bye Germany – 4
the Bomb – 7

Panorama

Fra Balkongen – 8
Call Me by Your Name – 7.5
I’m Not Your Negro – 8
Casting JonBenet – 6
The Misandrists – 3

Forum

The Tokyo Night Sky Is Always the Densest Shade of Blue – 5.5
Three Lights – 4
Golden Exits – 8.5
Menashe – 5
Werewolf – 5

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