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Oscar 2014, miglior regia: David O. Russell, Alfonso Cuarón, Alexander Payne, Steve McQueen, Martin Scorsese

Il prossimo 2 marzo saranno annunciati i vincitori degli Oscar 2014. Scopri e vota con Cineblog tutti i candidati alla categoria Miglior regia.

pubblicato 26 Febbraio 2014 aggiornato 18 Gennaio 2024 14:29

La Notte degli Oscar è sempre più vicina e in attesa che il prossimo 2 marzo l’Academy annunci i vincitori dei Premi Oscar 2014, vi proponiamo un nuovo sondaggio sulle categorie in lizza.

Dopo avervi proposto i candidati per la miglior scenografia, costumi, trucco, fotografia, sonoro, montaggio sonoro, colonna sonora, canzone originale, effetti speciali. sceneggiatura originale, sceneggiatura non originale, montaggio, cortometraggio d’animazione, cortometraggio live-action, attrice non protagonista, attrice protagonistaattore non protagonista, attore protagonista e documentario, quest’oggi è il turno dei cinque nominati per la Miglior regia.

I registi in lizza per questa ottantaseiesima edizione degli Academy Awards sono David O. Russell per American Hustle – L’apparenza inganna, Alfonso Cuarón per Gravity, Alexander Payne per Nebraska, Steve McQueen per 12 anni schiavo e Martin Scorsese per The Wolf of Wall Street.

A seguire trovate il sondaggio in cui potete esprimere la vostra preferenza sulla categoria e a seguire video e info sui cineasti candidati.

David O. Russell (American Hustle – L’apparenza inganna)

– Il regista David O. Russell è alla sua quinta candidatura all’Oscar con nessuna statuetta all’attivo.

– In questa edizione Russell bissa con una seconda candidatura per la miglior sceneggiatura originale.

– Delle 5 nomination ricevute, altre 2 sono nomination per la miglior regia, una assegnata nel 2011 per il biopic sportivo The Fighter e una nel 2013 per Il lato positivo – Silver Linings Playbook.

– Nel carnet di riconoscimenti di Russell ci sono 2 BAFTA per le sceneggiature de Il lato positivo – Silver Linings Playbook (non originale) e American Hustle (originale).

American Hustle – l’apparenza inganna segna il terzo capitolo dell’evoluzione tripartita del regista David Russell. Iniziata con The Fighter, continuata poi ne “Il lato positivo”, con American Hustle – l’apparenza inganna, Russell si concentra su personaggi che cercano di cambiare e reinventare le proprie vite. “Questi film raccontano la storia di personaggi, la cui vita non è andata proprio come avrebbero sperato o voluto”, spiega. “In loro c’è sempre qualcosa di profondamente amabile, ma al tempo stesso estremamente angosciante. Per tutto il film, e non solo nel terzo atto, questi personaggi sono alla ricerca della propria identità e della strada giusta per ritrovare l’amore per la vita. I personaggi hanno la chiara percezione di avere una vita ridotta in frantumi, e si interrogano non tanto su quello che faranno, ma su come ricominceranno a vivere e ad amare. Per me l’importante è che questi personaggi siano persone appassionate che amano o hanno amato veramente la vita a modo loro. Questa passione è importante almeno quanto l’avventurosa odissea che vivono e il modo in cui, malgrado tutto, perseverano e rinascono umilmente mentre il loro amore resta intatto o si rinnova. E non è un luogo comune perché, come dice Irving, tutto è vissuto al massimo.”

Al centro di American Hustle – l’apparenza inganna c’è la grande storia d’amore tra Irving Rosenfeld e Sydney Prosser, anime gemelle e partner in affari. “Questa storia d’amore conferisce loro un potere speciale, un potere che chiunque sia mai stato innamorato ha vissuto e può confermare” dice Russell. “Quando sei innamorato, sai di essere molto di più della semplice somma delle parti – accade qualcosa di divino. Per me, la prima parte del film consiste nel raccontare come i due si innamorano, quanto siano speciali l’uno per l’altra, e quanto amino la propria vita – uno stato quasi magico che dà un senso alle loro vite. Lo spettatore si innamora del loro amore e della loro passione per la vita. Fino a quando i problemi non bussano alla porta. E i due devono reinventarsi per sopravvivere, e allora resta una domanda: ce la faranno a salvare anche l’amore?”

In realtà il film tratta di amore in tanti modi diversi. Russell dice: “È l’amore tra Irving e Sydney, il breve amore tra Richie e Sydney, e l’oscillante passione del matrimonio ormai al capolinea tra Irving e Rosalyn. È l’amicizia tra Irving e Carmine, e il matrimonio tra Carmine e Dolly. E, certamente, la losca arte truffaldina di Irving in qualche modo è una forma d’amore – per la sua grande abilità di incantare e portare chi lo circonda a credere, volere, sognare.”

Alfonso Cuarón (Gravity)

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– Il regista Alfonso Cuarón è alla sua sesta candidatura all’Oscar con nessuna statuetta all’attivo.

– In questa edizione Cuarón oltre ad una nomination per la miglior regia ha collezionato altre 2 nomination, una per il miglior montaggio e un’altra in veste di co-produttore (miglior film).

– Questa per Cuarón è la prima candidatura all’OScar per la regia, le altre nomination le ha ricevute per montaggio e sceneggiatura.

– Nel carnet di riconoscimenti di Cuarón ci sono un Golden Globe ricevuto quest’anno per Gravity (miglior regia) e 4 BAFTA di cui due assegnati sempre per Gravity (miglior film e regia), uno come produttore de Il labirinto del fauno e un’altro per Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (miglior film).

Alexander Payne (Nebraska)

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– Il regista Alexander Payne è alla sua settima candidatura all’Oscar con due statuette all’attivo, entrambe vinte per le sceneggiature non originali di Paradiso amaro e Sideways – In viaggio con Jack.

– Questa per Payne è la terza candidatura per la regia, le altre due le ha ricevute nel 2005 per Sideways – In viaggio con Jack e nel 2012 per Paradiso amaro.

– Nel carnet di riconoscimenti di Payne figurano un Golden Globe e un BAFTA per la sceneggiatura di Sideways – In viaggio con Jack e un ulteriore Golden Globe ricevuto per la sceneggiatura di A proposito di Schmidt.

Spesso considerato un “regista di attori”, Alexander Payne incoraggia i suoi attori a spogliare le loro performance, fino a raggiungere gli elementi essenziali e primari della commedia, della tragedia e dell’umanità. Payne sapeva bene che l’esile storia di Nebraska, incentrata sulle emozioni, avrebbe funzionato solo se sorretta da interpretazioni naturalistiche, grazie ad attori disposti ad assumersi dei rischi. “Alexander è uno che ti dice: vai, rischia pure, che io ti vengo dietro” dice Bruce Dern. “Non vuole una recitazione convenzionale, vuole che i personaggi si trasformino in persone reali. Ti porta fino al punto di tirar fuori quello che hai dentro, le emozioni e le esperienze che ti porti dietro”.

Payne ha tratto ispirazione anche da quella che è diventata un’esperienza comune in una società come la nostra, sempre più composta da persone anziane: osservare i genitori che invecchiano in un modo che può rivelarsi allo stesso tempo contraddittorio e rivelatore. “Essendo anch’io figlio di due genitori anziani, mi è stato facile identificarmi con David. Ovviamente non ho mai vissuto situazioni come la sua, ma conosco quello che prova” racconta. “La cosa che mi è piaciuta molto della storia è il desiderio di David di restituire un po’ di dignità a suo padre. E’ un tema importante che sento molto”. E poi c’è il fatto che il film è ambientato nello Stato di cui Payne è originario, cosa che è servita a farlo sentire ancora più immerso nella storia. “Per molti versi questo racconto potrebbe essere ambientato in qualunque posto degli Stati Uniti, ma dato che si svolge in un luogo che conosco bene, mi ha dato modo di tirar fuori molti dettagli” spiega. “Io sono di Omaha, che è più grande della cittadina da cui vengono i Grant, e così il film mi ha dato l’opportunità di esplorare un Nebraska rurale che ha per me qualcosa di quasi esotico”.

Nessuno avrebbe dubitato del fatto che Payne avrebbe reso sua la storia dei Grant. “Quando vedi un film di Alexander, capisci subito che non avrebbe potuto essere di nessun altro” dichiara il produttore Albert Berger. “Ha un modo tutto suo di mostrare i comportamenti umani in tutte le loro debolezze e in tutta la loro gloria, che lui riesce a mostrare anche nei momenti in cui la gente si comporta male. Tutti noi ci riconosciamo in quei personaggi”. La facilità ad immedesimarsi con i personaggi della storia dipende in parte anche dal modo in cui Payne lavora con i suoi attori, accompagnandoli nei territori ancora poco battuti delle performance iper-realistiche. “Mi ricorda Preston Sturges e Frank Capra” commenta Dern. “Esamina i comportamenti degli esseri umani e le loro motivazioni. E’ affascinato dal comportamento delle persone e si vede dal modo in cui dirige”.

L’altro protagonista, Stacy Keach, sottolinea due elementi che rendono peculiare il lavoro di Payne: “E’ estremamente attento ai dettagli e ha una conoscenza profonda del lavoro degli attori”, prosegue Keach: “Essendo stato attore anche lui, credo che li capisca davvero, e che sappia cosa sono capaci di offrire in termini di sfumature ed emozioni contrastanti espresse nello stesso momento. Per questo è in grado di ispirarci”.

Aggiunge Will Forte: “Per me lavorare con Alexander è stata un’esperienza straordinaria. Da un punto di vista tecnico, tutto quello che fa è magnifico. Ma mi ha anche insegnato che la tecnica non basta affatto. Si tratta di essere in grado di costruire un’atmosfera accogliente e familiare, e trattare le persone in modo da farle lavorare in un ambiente stimolante e meraviglioso. Quando lo osservi al lavoro non ti spieghi perché anche tutti gli altri non lavorino allo stesso modo. Mi ha aiutato davvero a dimenticare me stesso mentre interpretavo David”.

Steve McQueen (12 anni schiavo)

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– Il regista Steve McQueen è alla sua prima corsa agli Oscar debuttando per 12 anni schiavo con un duplice candidatura, una come regista e una nella categoria Miglior film in veste di co-produttore.

– Nel carnet di riconoscimenti di McQueen figurano due BAFTA, uno ricevuto quest’anno per 12 anni schiavo (miglior film) e nel 2008 come miglior regista esordiente di Hunger.

Già autore di film appassionanti e intensi come HUNGER e SHAME, McQueen pensava al film ancora prima di aver letto il libro. Gli interessava affrontare il tema dello schiavismo americano in una chiave inedita: dal punto di vista di un uomo che aveva conosciuto sia il bene della libertà che l’ingiustizia della schiavitù. McQueen sapeva che all’epoca non era raro che i neri nati liberi negli stati del nord fossero rapiti e venduti come schiavi al sud. Ma solo in un secondo tempo ha scoperto che esisteva un’autobiografia che raccontava proprio quell’esperienza. “Volevo fare un film sullo schiavismo, ma non sapevo da che parte cominciare”, spiega McQueen. “Mi piaceva l’idea di partire da un uomo libero, come tanti di quelli che vedranno il film al cinema, un qualsiasi padre di famiglia che viene rapito e ridotto in schiavitù. Mi sembrava la persona adatta per ripercorrere la storia della schiavitù”.

McQueen ne ha parlato con sua moglie ed è stata lei a scoprire l’autobiografia di Solomon Northup, un libro che un tempo aveva scosso l’opinione pubblica americana, ma che non era più molto conosciuto né letto. “Mia moglie ha trovato il libro e appena l’ho aperto non l’ho più lasciato”, racconta il regista. “Ero stupefatto e incantato da questa incredibile storia vera. Si leggeva come Pinocchio o una fiaba dei Fratelli Grimm: un uomo viene strappato alla sua famiglia e trascinato in un tunnel oscuro, in fondo al quale, però, c’è una luce”.

McQueen ha scoperto – come già molti altri prima di lui – che Northup era un acuto osservatore oltre che uno dei pochi che all’epoca riuscirono a raccontare al mondo, dal di dentro, che cosa fosse veramente la schiavitù. Ma il libro di Northup non è solo la cronaca sconvolgente di una storia vera, è un’opera moderna, il racconto avvincente del coraggio fisico e morale di un uomo. È una testimonianza profonda e sofferta che pone una delle grandi domande della letteratura: e voi, che cosa avreste fatto?

Martin Scorsese (The Wolf of Wall Street)

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– Il regista Martin Scorsese è alla sua dodicesima candidatura all’Oscar con una sola statuetta all’attivo ricevuta nel 2007 per la regia di Departed – Il bene e il male.

– In questa edizione Scorsese bissa e oltre alla nomination per la miglior regia di The Wolf of Wall Street colleziona un’ulteriore nomination in veste di co-produttore (miglior film).

– Nel carnet di riconoscimenti di Scorsese figurano 4 Golden Globes, tre per la miglior regia (Hugo, Departed, Gangs of New York) e uno onorario e 4 BAFTA, di questi uno onorario e tre per Quei bravi ragazzi (miglior film, regia e sceneggiatura non originale).

A Martin Scorsese, la storia di Jordan Belfort dava l’opportunità di percorrere strade mai affrontate come realizzatore, arrivando agli estremi comici rappresentati da un’umanità che rimane comunque reale. “La storia di Jordan coglie perfettamente il fascino che provano gli americani verso le storie di ascesa e caduta, come dimostra la tradizione dei gangster”, sostiene il regista. Tuttavia, Jordan ha preso la tradizione dei gangster e l’ha rivoltata come un calzino. Piuttosto che sfuggire alla legge, lui ha cavalcato l’illegalità in ogni modo immaginabile (e talvolta anche inimmaginabile), andandosi a cercare la punizione che ha posto fine al suo mini impero.

Scorsese ha anche visto l’opportunità di affrontare un viaggio sul classico ciclo di euforia, follia e disastri finanziari, che nell’economia moderna sembra ripetersi continuamente. “Essendo una persona interessata alla storia, rimango meravigliato del fatto che accadano continuamente le stesse cose. Ci sono periodi di boom economico, grande euforia, tutti pensano che diventeranno ricchi e ogni cosa andrà bene. Poi avviene il crollo e si capisce che soltanto pochi si sono arricchiti e a spese degli altri. E’ accaduto nell’età dell’oro alla fine del XIX secolo. E’ avvenuto nel 1929. E’ capitato nel 1987, l’epoca in cui si svolge il nostro film. E così è successo nel passaggio tra questo e lo scorso secolo, quando è esplosa la bolla delle dot.com. Poi, è capitato nuovamente nel 2008. Magari accadrà ancora e presto”.

Belfort peraltro era proprio il tipo di personaggio che attirava Scorsese, un uomo di successo, pieno di ambizioni e difetti, che si ritrova a fronteggiare le conseguenze morali delle sue azioni. “Jordan non ha condotto una vita esemplare, era decisamente ignobile”, sostiene il regista. “Lui non aveva intenzione di fare del male a nessuno, ma è quello che ha imparato dal mondo che lo circondava. Mi hanno sempre incuriosito persone come Jordan, Jake LaMotta o Tommy, il personaggio di Joe Pesci in Quei bravi ragazzi. La gente tende a ritenersi diversa da questi personaggi, pensando di non essere come loro. Io invece ritengo che siano come noi. Se fossimo nati in una situazione diversa, magari avremmo finito per fare le stesse scelte e gli stessi errori. Sono interessato a riconoscere come questa componente dei personaggi sia molto umana e perciò dobbiamo venirci a patti”.

Scorsese riteneva che tutto questo fosse evidente nella sceneggiatura di Terence Winter, conosciuto soprattutto per il suo lavoro vincitore dell’Emmy per I Soprano e per la serie sul proibizionismo Boardwalk Empire, di cui Scorsese è produttore esecutivo. Ma lui negli anni ottanta aveva anche lavorato per Merrill Lynch, quindi era in grado di mettere assieme una conoscenza diretta del mondo finanziario, con un’inclinazione a scrivere dei pericoli di questo stile di vita. Lui ha cominciato a svolgere ricerche attingendo direttamente alla fonte, incontrando diverse volte Belfort.

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