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Il cinema indipendente americano alle soglie di una nuova era

Mancano pochi giorni all’inizio della presidenza di Donald Trump. Come ha già iniziato a rifare nel 2016, il cinema indipendente americano deve ritornare più che mai alla sua missione originale: raccontare soprattutto le differenze. Qualche appunto in previsione di un’annata che si presenta più buia di quel che si può pensare.

pubblicato 5 Gennaio 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 03:08

Se mi dovessero chiedere quali sono i tre film che hanno rappresentato appieno il concetto di film indipendente americano nel 2016 risponderei Moonlight, Cameraperson e The Love Witch. Del primo avremo spazio per parlarne per bene, visto che è uno dei protagonisti dell’annata. Gli altri due sono titoli che rappresentano lo spirito di artigianato e di intimità che non si può trovare in altri prodotti statunitensi. Oltre al fatto di essere finanziati e prodotti lontano da major, sussidiarie d’essai o case di produzione di un certo livello.

Cameraperson, opera seconda della direttrice della fotografia e della camerawoman Kirsten Johnson, è un film ‘di montaggio’ di outtake di opere a cui la regista ha preso parte in 25 anni di carriera. Ne esce un ritratto che va oltre l’autobiografia: svela ciò che c’è tra i fotogrammi di opere già belle e montate; svela ricordi e momenti catturati dalla macchina da presa e dimenticati dal Cinema; svela intimamente un percorso di vita e una carriera professionale. È l’anello di congiunzione tra Dziga Vertov e il suo L’uomo con la macchina da presa e Jonathan Caouette e il suo Tarnation.

The Love Witch è invece un puro film di artigianato, in cui la regista Anna Biller scrive, dirige e cura tutti gli aspetti di design (dalla scenografia ai costumi) come non si fa più in giro, creando un mondo di cui è evidente la personalità unica. Racconta un personaggio femminile con un’ironia e un’intelligenza che non trova spazio nel cinema prodotto a Los Angeles. Bello pensare che i tre film indie dell’anno rappresentino donne, gente non bianca e omosessuali: tutto ciò che non rappresenta il neo Presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, al potere dal 20 gennaio e il cui impatto sul cinema sarà tutto da vedere.

Una corsa agli Oscar very indie

La La Land

Avete notato che la corsa agli Oscar di quest’anno vede fronteggiarsi tre film che si possono definire indie? O meglio, viste le differenze tra i tre, che non sono prodotti all’interno del sistema hollywoodiano? È ormai certo che saranno La La Land, Moonlight e Manchester by the Sea a contendersi i premi principali, film e regia inclusi. A meno di colpi di scena dell’ultimo momento è ormai scontato, e le vere sorprese andranno cercate altrove.

Quand’è che nessun film di una major era nella rosa dei seri papabili? In un – a prima vista – annus horribilis per Hollywood, pieno di flop e filmacci sbertucciati da critica e pubblico, è il cinema ‘alternativo’ che viene premiato, non senza contraddizioni, dallo stesso sistema. I tre film però hanno delle caratteristiche ‘tipiche’ di quel cinema che l’Academy ama segnalare nonostante fondi e produzioni non arrivino direttamente da Hollywood.

La La Land, che Damien Chazelle prova a produrre almeno dal 2013, è un film che molti hanno scambiato come un’ode a Los Angeles e invece ne mostra anche e soprattutto la crudeltà. Fatto sta che è un musical originale (non basato su un’opera già esistente), mostra la città degli angeli in tutta la sua bellezza, e consacra un giovane autore già nominato agli Oscar con il film precedente, Whiplash, vincitore al Sundance.

Moonlight è il film giusto al momento giusto, quello che può davvero fare la differenza. Rappresenta sul grande schermo persone che non avevamo mai visto al cinema, racconta al mondo una realtà che esiste ed è stata dimenticata dalla narrazione audiovisiva (meno dai documentari). I critici italiani, prevedibilmente, non ne hanno capito neanche un minimo la portata e l’importanza. Per l’Academy, comunque, resta il film perfetto per rispondere a #OscarsSoWhite, e tanto basta.

Manchester by the Sea è il film alternativo e di qualità ‘perfetto’. Sceneggiatura da premio, un mix irresistibile di ironia e dramma, personaggi a cui ci si affeziona. Il tutto prodotto e confezionato lontano dal mondo delle major, firmato da un autore non conforme alle regole canoniche dei prodotti mainstream. Però è certo che per l’Academy questo è più il film ‘di’ Casey Affleck e Michelle Williams, più che di Kenneth Lonergan.

L’Academy, dopo le polemiche del 2015, ha deciso di mettere in atto un piano strategico per implementare la diversity fra i suoi membri. Tutto sembra indicare a un collasso di Hollywood, che dovrà faticare per ripigliarsi e ricominciare a lavorare su idee nuove e originali, e a un successo senza precedenti del cinema indipendente e di Indiewood. Ma nonostante il post-#OscarsSoWhite, i flop di filmoni commerciali, e il successo indie fra i premi della corsa agli Oscar, la realtà è più complicata di come appare.

La difficoltà nel raggiungere il pubblico

The Birth of a Nation

È vero che il successo di Moonlight è travolgente, ma non era la risposta che il sistema si aspettava di dare alle polemiche sulla mancata rappresentanza di quote nere sul grande schermo. Quel film, se ricordate bene, doveva essere The Birth of a Nation, vincitore del Sundance seppellito poi dalle polemiche sul regista Nate Parker. Il boicottaggio in America è cosa sentita e da non sottovalutare, ma dubito sia stato l’unico fattore del suo flop. Portare gente al cinema per film di un certo tipo, in realtà, continua a essere di rara difficoltà negli States.

Credo che la Fox Searchlight abbia in realtà sottovalutato molti fattori nel momento in cui ha acquistato il film di Parker al Sundance per più di 7 milioni (il film manco ne ha ripresi 6). Pensava di trovarsi un frontrunner agli Oscar, poi le polemiche non hanno aiutato. Ma la Fox ha anche scordato che la black community è attratta più da un Boo! A Madea Halloween qualunque, ennesimo titolaccio della saga di Tyler Perry, capace di racimolare più di 3 milioni al botteghino. Si dirà: e il successo di Moonlight allora?

Il suo è oggettivamente un trionfo di critica, di premi, di buzz. E al box office, per essere un film su un ragazzo nero e gay, ha fatto faville. Ma è un titolo che a oggi ha guadagnato circa 3 milioni. Non i numeri del tipico film ‘da Oscar’, e anche minore rispetto al film di Parker, ma sicuramente ha ancora un percorso strepitoso davanti a sé. Il suo successo è dovuto alla A24, di cui Moonlight è il primo film che ha direttamente prodotto e non solo acquistato. La casa indie di New York sta già producendo il suo secondo film, l’opera seconda del Trey Edward Shults di Krisha, It Comes at Night.

È di A24 il secondo film indie di maggior successo del 2016 al botteghino americano, The Witch (più di 5 milioni), davanti a Manchester by the Sea (Roadside Attractions, circa 0) e dietro a Hell or High Water (CBS Films / Lionsgate, 7 milioni). Nell’incredibile listino 2016 di A24 ci sono molti titoli acclamati e soprattutto indirizzati specificamente a un pubblico giovane di millennials. Ma a parte The Lobster ( milioni), il resto non è tutto rose e fiori. Krisha e American Honey, assieme, non raggiungo il milione di incasso. Meglio Swiss Army Man coi suoi milioncini in saccoccia.

A24 è indubbiamente però il vincitore del 2016, soprattutto se comparato alla concorrenza. Un’altra casa di distribuzione di NYC, l’ottima Oscilloscope Laboratories, al confronto fa molta più fatica. I dati del box office dei suoi titoli sono più in linea con la media degli incassi dei film indie negli States: The Fits (70K), The Love Witch (60K), Always Shine (6K). Sono film che però sono stati e verranno nominati a premi e hanno ricevuto critiche positive, fattori che aiuteranno i film a vivere alla fine nelle piattaforme che potrebbero fare la vera differenza nei loro percorsi: quelle streaming e VOD. Ma non si hanno dati oggettivi per verificarne l’impatto.

Il cinema indie e la sua missione ‘originale’

Moonlight

Nell’anno che vede l’elezione di Donald Trump, rappresentante di una politica maschilista, bianca ed eteronormativa, è importante continuare a supportare le voci di autori ‘diversi’, che siano registe donne, registi non bianchi ed LGBT, e sostenerne le storie. Quel che la critica italiana non ha colto di Moonlight, tra le altre cose, è l’impatto culturale che sta avendo negli States. È quasi commovente leggere certe reazioni da parte di una fetta di pubblico che, finalmente, si può identificare senza filtri con i personaggi sul grande schermo. Rappresentando tutte le minoranze si ridà fiducia alla macchina-cinema tutta, inglobando più storie e personaggi poco o nulla rappresentati.

I coming of age di ragazze nere, come quelli delle protagoniste di The Fits e American Honey, sono quasi rivoluzionari. Difficile capirlo per gli italiani dalla pelle bianca, il cui colore della pelle ha quasi sempre combaciato con quello dei protagonisti di molti film adolescenziali. Queste invece sono storie di donne che devono essere raccontate da donne. In un incontro tenutosi il giorno dopo l’elezione di Trump a Union Docs, organizzazione con sede a Brooklyn di filmmaker che lavorano in ambito non fiction, le idee su come darsi da fare in previsione di un periodo difficile non sono mancate. Le più interessante tuttavia è quella di un filmmaker che ha riscontrato la maggioranza di registi bianchi in sala: la loro missione dovrebbe essere quella di raccontare storie di maschi bianchi anche ai margini e di politica opposta, e lasciare le minoranze a registi appartenenti a minoranze. Altrimenti si fa il gioco di Hollywood.

Non c’è dubbio che in periodo di pericolo e delusione il cinema sappia tirare fuori le unghie e reagire. Allo stesso tempo però le organizzazioni no profit, fondamentali e spesso necessarie per la salvaguardia del cinema indipendente, rischiano grosso. Basandosi anche su fondi governativi, queste organizzazioni rischiano tagli il cui impatto potrebbe essere grave, anche perché il governo Trump non sembra esattamente interessato alla cultura e al suo impatto sul mondo. Così il cinema hollywoodiano continuerà a farla sempre da padrone e a propagandare solo le sue immagini, le sue storie e i suoi valori. È vero che il 2016 è stato un anno di svolta, tra successo nei premi che contano di film indie e l’entrata in gioco dalla portata ‘democratica’ di Netflix e Amazon, che offrono visibilità a film che nelle sale hanno poca speranza: ma il box office americano è sempre dominato da prodotti delle major.

In un anno che si preannuncia politicamente instabile, un vero salto nel buio in molti sensi, è più che mai necessario che i filmmaker navighino attraverso tutte le possibilità che hanno per raccontare le proprie storie e raggiungere il pubblico. Così Charles Rogers e Sarah-Violet Bliss, registi del vincitore del SXSW 2014 Fort Tilden, hanno girato la serie TV Search Party, deliziosamente cinica nel rappresentare i trentenni di Williamsburg, già rinnovata per TBS per un’altra stagione. Rogers e Bliss sono filmmaker che conoscono bene il mondo che raccontano, e non pretendono di raccontare altro. Come loro devono esserci altri registi di altre community americane che raccontano la loro fetta di mondo, che sia in forma cinematografica o seriale.

Nel 2015 dicevamo che il caos nel panorama del cinema indie americano regnava sovrano, e poco dopo al Sundance 2016 vedevamo nuove linee guida. Il 2017 è paradossalmente tutto da verificare, tutto da costruire. La speranza è che chi può tirare fuori gli artigli lo faccia nel raccontare quegli angoli di mondo sempre troppo inediti. “You’ve got to decide who you want to be”, dice il ‘padre’ della strada Juan al piccolo Chiron di Moonlight. Se la politica minaccia di rappresentare solo una piccola porzione di mondo, il cinema indie deve riacquistare la forza di essere orgogliosamente diverso, ora più che mai.

I 15 film indie americani del 2016 da non perdere

American Honey

10 film indipendenti

All This Panic
Always Shine
American Honey
Cameraperson
Certain Women
Dark Night
Little Men
The Love Witch
Moonlight
The Witch

10 film di Indiewood*

The Childhood of a Leader
Jackie
La La Land
Manchester by the Sea
Paterson

*Si definisce Indiewood quella zona ‘virtuale’ del mercato che si vuole indipendente anche se regista e/o attori sono mainstream, e in cui i budget non sono proprio alla portata di un filmmaker indipendente. Sono film d’essai e alternativi ai prodotti commerciali.