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Venezia 2012: voti e considerazioni finali

Müller o Barbera? Edizione sorprendente o deludente? Cineblog dà i suoi voti ai film e tira le fila di Venezia 69.

pubblicato 9 Settembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 22:23

Müller o Barbera? Bulimia o essenzialità? Tanti film o pochi film? Non c’è una risposta immediata e definitiva, tant’è che ogni sito di cinema, ogni critico, ogni giornalista e ogni appassionato presente alla 69. Mostra del cinema di Venezia avrà una propria opinione, anche decisamente netta: Mostra deludente, Mostra più tranquilla, annata di transizione. Sarà. Noi a Venezia 69 ci siamo parecchio divertiti.

Ci siamo molto “divertiti” anche a sentire i fischi, che, come a Cannes ormai, sono il primo metro di “qualità” per un film, soprattutto in concorso. Ancora più di un tweet, ancora più di uno status di Facebook. Ai festival si corre molto, in tutti i sensi, a volte troppo. Ma è il prezzo da pagare per vivere dieci giorni di visioni, per testare quel che c’è in giro, confrontarsi con gli altri e fare previsioni sui film che non passeranno facilmente. E noi siamo pronti a scommettere che qui a Venezia 69 di opere che non dimenticheremo ce ne sono state, e forse non poche.

Commentiamo innanzitutto il palmares. Non ne ho fatto mistero durante le mie recensioni dal Lido, ma Pieta (o, per noi, Pietà) e The Master sono stati per me i due capolavori della Mostra. Il primo è un film clamoroso, soprattutto se lo si pone all’interno del percorso artistico e personale del regista. Dopo film mediocri o al massimo dignitosi e poco più, e dopo la depressione, Kim tira fuori una cosa del genere e non puoi che commuoverti seriamente. Un Leone d’oro (e un Mouse d’Oro, e un Leoncino d’Oro…) che ruggisce d’orgoglio.

The Master è invece l’opera complessa, inquieta, tenera, “liquida” e difficile che volevamo. Dopo averla vista abbiamo avuto dubbi potesse essere un frontrunner per gli Oscar, visto che a qualcuno è parsa un po’ troppo difficile e “dispersiva”. Ma la critica internazionale lo sta amando, e il Leone d’argento a Paul Thomas Anderson e le Coppi Volpi (meritatissime) a Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman non fanno altro che lanciare definitivamente il film, se mai ne avesse avuto bisogno. Academy: here it comes.

Farà discutere il Gran Premio della Giuria al “blasfemo” Paradise: Faith, secondo capitolo della trilogia di Ulrich Seidl, dopo Paradise: Love visto a Cannes. C’è chi ha parlato di farsa, chi di film ignobile per come prende in giro la religione con gag e sketch deplorevoli. A noi pare che il taglio documentarista del regista austriaco indaghi gli orrori e il grottesco del quotidiano con disarmante lucidità, facendo uscire la volgarità dell’animo umano, ma a tratti anche un’abissale e sincera sofferenza. Una dolorosissima frustata ad un crocifisso ce lo conferma.

La Coppa Volpi femminile è andata alla giovanissima Hadas Yaron di Fill the Void, l’opera prima israeliana diretta da Rama Bursthein. Il film ha fatto parecchio discutere, e noi non siamo fra quelli che lo hanno amato particolarmente. Forse il premio più adatto alla Yaron era il Premio Mastroianni, mentre la Coppa femminile poteva essere assegnata alla Nora Aunor di Thy Womb di Mendoza, rimasto a bocca asciutta, o alla Maria Hofstätter del film di Seidl, che offre una prova fisica e pesante. Il Mastroianni è invece andato a Fabrizio Falco per le sue prove in Bella addormentata (il film di Marco Bellocchio, che ha alcuni momenti di cinema potentissimo ed è un ennesimo ragionamento sull’immagine e sulle sue influenze) e in È stato il figlio.

Ha vinto l’Osella per la sceneggiatura il bellissimo (e poco apprezzato dalla critica giovane, mentre i veterani l’hanno amato) Après Mai, ovvero il post-68 autobiografico di Olivier Assayas. Chi ne parla come di un pilot tv o di un prodotto paratelevisivo non ha capito nulla di nulla: qui c’è puro cinema onestissimo, con alcune perle di cinefilia da lacrime, e non parliamo solo del finale, da applauso a scena aperta. L’Osella per la fotografia è andata invece a È stato il figlio di Daniele Ciprì: un contentino, si dirà. Il film non è affatto male, ed ha una parte finale da incubo. Certo, il resto è un po’ sfilacciato, l’insieme stenta a decollare: ma si vola senza problemi sopra la media italiana.

Passiamo, quindi, agli altri film del concorso. Cosa ci è piaciuto. La cinquième saison di Woodworth e Brosens è uno dei nostri colpi di fulmine: mescola Kaurismäki, Le quattro volte, The Wicker Man e altro ancora, parte come una commedia stralunata e finisce in incubo. Estetica meravigliosa e fotografia da impazzire. Difenderemo a vita, come abbiamo già fatto, Spring Breakers di Harmony Korine, il cult del festival. Il regista è troppo bravo, lucido e abile per fare “soltanto” un buon z-movie di mezzanotte con chick, tette, gangster, coca e musica a palla. Indaga invece nel cuore contraddittorio (e tenero) dell’America, ragiona sull’innocenza e sulla violenza. Lo fa con stile saturo e ammaliante, con colori al neon e ragazzine Disney ricondotte alla loro natura di ordinarie adolescenti americane.

La stessa cosa fa Ramin Bahrani con At Any Price, fischiato ed incompreso. Raccontare di violenze e gesti deplorevoli non significa che l’autore ne sposi le motivazioni: ma pare che storia narrata e idea del regista si debbano sposare per forza, secondo certa critica. Mah. Bahrani invece segue la tradizione del miglior cinema indie (anche il proprio: ripescatevi i suoi tre film precedenti, molto belli), descrivendo il punto d’intersezione tra bellezza (i paesaggi e l’atmosfera dell’America rurale) e crudeltà (il sistema violento che imprigiona vite e scelte). Un film che verrà capito di più nel suo paese, dove ovviamente ha già ricevuto i primi veri apprezzamenti: Ebert ne va già matto, da buon amante del cinema di Bahrani.

Linhas de Wellington di Valeria Sarmiento è il “nuovo film” di Ruiz, morto proprio quando il film stava entrando in produzione. 150 minuti in cui non tutto funziona e non è tutto a fuoco, e i personaggi sono più che altro idealizzazioni: ma, guardando il film dall’alto, ne esce fuori un affresco storico convincente. Le scene di massa fanno davvero paura per la bellezza e la capacità tecnica con cui sono girate. Buono anche il nostro responso per Thy Womb, con il quale Brillante Mendoza torna dalle parti del suo Lola e ci regala un bellissimo personaggio femminile di una donna impossibilitata ad avere figli. Il film è anche un istruttivo lavoro etnografico su una popolazione, quella dei Bajau. Lungo e “faticoso”, ma anche tenero.

Passiamo agli ufo, ai film che hanno più diviso in assoluto (c’includiamo Korine, of course). Sono tre: Betrayal di Kirill Serebrennikov, To the Wonder di Terrence Malick e Passion di Brian De Palma. Il primo è potente, sospeso ed affascinante nella prima parte: poi “ricomincia”. E allora si può decidere: prendere e restarne affascinati, oppure lasciare e chiedersi il perché del tutto. Il secondo, descritto come The Tree of Life senza pianeti e dinosauri, è il film più intimo del regista. Lo si lascia perché non si entra nella storia, ci si annoia alla grande e perché c’è il rischio di supercazzola (“Io sono l’esperimento di me stessa”, dice senza pudore Romina Mondello); lo si tiene perché è unico, ed è una lettera d’amore disarmante ad una donna amata in passato. Lo sguardo sulla periferia americana, poi, è meraviglioso.

Passion è, tra questi tre film che hanno diviso il Lido, quello che ha avuto più critiche negative. Per gli americani il regista è da sempre “trashy De Palma”: Vestito per uccidere e Passion stanno nello stesso calderone, per dire. A noi è parso – ma potremmo sbagliarci, per carità – che questo remake sia un’operazione molto consapevole: la prima parte (mediocre, stanca, quasi senza sprezzo del ridicolo) è preparativa per quel che c’è dopo, che è uno squisito frullatone depalmiano (per soli fan? Forse), pieno di schegge e fantasmi del cinema (proprio e altrui) che fu. Non si può più raccontare una storia “originale”: tutto è già stato raccontato e tutto è manipolabile. All’epoca degli smartphone, poi…

Bocciature. Mi spiace molto, ma Superstar di Giannoli è una delusione: dopo il bel À l’origine, con cui aveva detto molte più cose sulla “trasformazione” dell’identità senza toccare il tasto “fama” o “reality”, il regista prende una sola idea – non si sa perché, ma un uomo qualunque diventa ad un tratto famoso – e la usa e la usa e la usa e non conclude. I fan di Takeshi Kitano vanno in brodo di giuggiole per Outrage Beyond: i gangster parlano, sparano, si torturano, fanno ridere. Bah, contenti loro: questa virata sul grado zero dello yakuza movie da parte del regista mi aveva già stancato nel primo capitolo. La prima parte di Beyond, tra l’altro, “ammazza” di noia qualunque buona aspettativa. Peggior film in concorso, ahinoi, Un giorno speciale di Francesca Comencini: fare un romantico e piccolo boy-meets-girl in Italia è davvero impossibile, si va sempre a parare su altro e si scade nel didascalico.

Fuori concorso ci hanno davvero convinto molto i due documentari musicali diretti da Spike Lee e Jonathan Demme, ovvero l’entusiasmante Bad 25 sull’album di Michael Jackson (e sul mondo dei videoclip, e sui fan, e sugli aneddoti…) ed Enzo Avitabile Music Life di Jonathan Demme, ritratto intimo del musicista napoletano. Ma il nostro colpo di fulmine più grande sta nelle Giornate degli autori, ed è Stories We Tell di Sarah Polley: un documentario privato bellissimo, pieno di sorprese, dolcezza, tristezza, risate, ragionamenti, impasse, sperenza…

Di seguito, tutti i miei voti ai film della selezione, aggiustati e arrotondati rispetto a quando li ho dati, quindi senza mezzi punti. Dei film non recensiti lascio un brevissimo commento, e resto ovviamente a disposizione per chiarimenti e discussioni nei commenti.

CONCORSO

Après Mai – Olivier Assayas
Recensione
Voto: 8

At Any Price – Ramin Bahrani
Recensione
Voto: 8

Bella Addormentata – Marco Bellocchio
Recensione
Voto: 8

Betrayal – Kirill Serebrennikov
Recensione
Voto: 5

La cinquième saison – Jessica Woodworth e Peter Brosens
Recensione
Voto: 9

È stato il figlio – Daniele Ciprì
Recensione
Voto: 7

Fill the Void – Rama Burshtein
Recensione
Voto: 6

Un giorno speciale – Francesca Comencini
Recensione
Voto: 3

Linhas de Wellington – Valeria Sarmiento
Recensione
Voto: 7

The Master – Paul Thomas Anderson
Recensione
Voto: 10

Outrage Beyond – Takeshi Kitano
Recensione
Voto: 4

Paradise: Faith – Ulrich Seidl
Recensione
Voto: 8

Passion – Brian De Palma
Recensione
Voto: 8

Pieta – Kim Ki-duk
Recensione
Voto: 10

Spring Breakers – Harmony Korine
Recensione
Voto: 9

Superstar – Xavier Giannoli
Recensione
Voto: 5

Thy Womb – Brillante Mendoza
Recensione
Voto: 7

To the Wonder – Terrence Malick
Recensione
Voto: 8

FUORI CONCORSO

Bad 25 – Spike Lee
Recensione
Voto: 8

Bait 3D (Shark 3D) – Kimble Rendall
Recensione
Voto: 4

Cherchez Hortense – Pascal Binitzer
Commento: commedia francese con tanti personaggi, che vaga e si perde, poi torna sui suoi passi, e mantiene il suo ritmo pacato e gentile. Sofisticato.
Voto: 7

The Company You Keep – Robert Redford
Recensione
Voto: 7

Disconnect – Henry-Alex Rubin
Recensione
Voto: 6

Enzo Avitabile Music Life – Jonathan Demme
Recensione
Voto: 8

L’Homme qui rit – Jean-Pierre Améris [film di chiusura]
Commento: adattamento dell’omonimo romanzo di Victor Hugo. Sontuoso e “corretto”, stop.
Voto: 6

The Iceman – Ariel Vromen
Recensione
Voto: 6

Love is All You Need – Susanne Bier
Recensione
Voto: 7

Lullaby to My Father – Amos Gitai
Commento: il regista israeliano sulle tracce del padre, Munio Weinraub, studente del Bauhaus. Poesie, teatro, ricordi, documenti, fiction: sentito ma “faticoso”.
Voto: 6

Medici con l’Africa – Carlo Mazzacurati
Commento: un onesto documentario sull’esperienza di chi ha fondato e chi lavora per il Cuamm. Qualche testimonianza è davvero notevole.
Voto: 6

O Gebo e a Sombra – Manoel de Oliveira
Recensione
Voto: 7

The Reluctant Fundamentalist – Mira Nair [film d’apertura]
Recensione
Voto: 4

Tai Chi 0 – Stephen Fung
Commento: inizia in modo divertentissimo, ed ha una confezione di lusso. Poi, personalmente, ho un po’ rimpianto Stephen Chow.
Voto: 5

ORIZZONTI

The Cutoff Man – Idan Hubel
Commento: ritratto di un uomo israeliano costretto a fare un lavoro terribile (staccare l’acqua a chi non ha pagato la bolletta). Forse un po’ troppo asciutto.
Voto: 6

Gli Equilibristi – Ivano De Matteo
Commento: mi pare sia la nuova frontiera del ricatto. Però in giro viene anche apprezzato…
Voto: 1

A Hijacking – Tobias Lindholm
Commento: chi si aspettava un film di pirati “contemporanei” con violenze e quant’altro si è dovuto ricredere. Un film serissimo e difficile, basato tutto sulle trattative per la liberazione di alcuni ostaggi.
Voto: 7

L’intervallo – Leonardo Di Costanzo
Commento: primo vero film di finzione del documentarista. Un’opera ben pensata, capace di parlare con sincerità e in modo diretto di un popolo e di una gioventù.
Voto: 7

Me Too – Alexej Balabanov
Commento: confezione pazzesca per il film del regista russo. Ma qui anche i fan duri e puri corrono il rischio di annoiarsi e di non entrare in contatto con il suo umorismo.
Voto: 6

The Millennial Rapture – Koji Wakamatsu
Commento: si parlerà di capolavoro, ma dopo Cannes, dove già aveva deluso con il film su Mishima, il grande regista nipponico gira un altro film debole. Pensare che aveva diretto poco tempo fa quella meraviglia di Caterpillar
Voto: 5

The Paternal House – Kianoosh Ayyari
Commento: durissimo atto d’accusa contro la condizione femminile nella società iraniana. Parte con l’omicidio crudissimo di una figlia da parte di un padre, per dire.
Voto: 7

GIORNATE DEGLI AUTORI

Acciaio – Stefano Mordini
Commento: tecnicamente valido, ma emotivamente arido. Non ho letto il libro, ma chi l’ha fatto ed ha visto il film dice che il confronto non regge.
Voto: 4

Blondie – Jesper Ganslandt
Commento: tre sorelle e una madre. Tre atti. Il nulla. Dopo The Ape, Ganslandt si conferma una sòla.
Voto: 4

Il gemello – Vincenzo Marra
Commento: curiosa ed interessante incursione nel mondo del carcere di Secondigliano, attraverso la storia di Raffaele Costagliola, condannato per una rapina.
Voto: 7

Inheritance – Hiam Abbass
Commento: esordio alla regia dell’attrice israeliana, che rifa il tipo di film che aveva spesso interpretato in precedenza. Freddo, schematico e senza urgenza.
Voto: 4

Keep Smiling – Rusudan Chkonia
Commento: un concorso televisivo come quello della “miglior mamma” era uno spunto brillante: il film si spegne però dopo il primo quarto d’ora.
Voto: 5

Pinocchio – Enzo D’Alò
Recensione
Voto: 5

Queen of Montreuil – Solveig Anspach
Commento: commedia francese piena di lingue diverse, a metà tra tradizione e quirky comedy da Sundance. Può irritare, ma fa il suo dovere. E c’è pure una foca!
Voto: 7

Stories We Tell – Sarah Polley
Commento: un documentario privato bellissimo sulle relazioni familiari e non, un ritratto di una generazione, di una città, un ragionamento sentito ed intelligente sul rapporto tra racconto e fiction… Dritto al cuore (passando per la testa).
Voto: 9

SETTIMANA DELLA CRITICA

La città ideale – Luigi Lo Cascio
Commento: esordio alla regia per Lo Cascio. Non parte male, poi l’incubo kafkiano prende il sopravvento: noioso e pretenzioso.
Voto: 4

Kiss of the Damned – Xan Cassavetes
Commento: mah, che dire? Patina anni 70 e tedio imperante. Spaventi zero. Però è senz’altro “curioso”.
Voto: 5

O luna in Thailandia – Paul Negoescu
Commento: una personale sorpresa. Puro integralismo rumeno, ma a suo modo “leggero”. Come se Mungiu girasse un film sui giovani borghesi del suo paese di oggi.
Voto: 8

Welcome Home – Tom Heene
Commento: indifendibile pasticcio che unisce diverse storie e drammi, trattati con una mano pesante che più non si può. Da dimenticare.
Voto: 2